La stupefacente autobiografia di Francesco D’Errico, Il breve racconto della mia lunga vita, con prefazione di Salvatore Verde

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La copertina del libro di Francesco D'Errico, con il ritratto dell'auore eseguito dall'artista tursitano Antonio Mango
La copertina del libro di Francesco D’Errico, con il ritratto dell’autore eseguito dall’artista tursitano Antonio Mango

Portare a termine la propria autobiografia a 87 anni, dopo averla abbozzata nel 2009, sarebbe motivo sufficiente per stimolare i lettori appassionati. Se si aggiunge che ci riferiamo a un autodidatta lucano, già carabiniere (anche a cavallo), che ha prestato servizio in cinque grandi regioni d’Italia (Lazio, Toscana, Emilia Romagna, Sicilia e Campania), e con una sensibilità di poeta (passione maturata anch’essa nella vecchiaia), allora la curiosità si ingigantisce, proprio sul piano psicologico e sul significato socio-antropologico dell’iniziativa culturale.

L’autore della recente pubblicazione Il breve racconto della mia lunga vita è il lucidissimo, maturo e saggio Francesco D’Errico, per 42 anni al servizio dello Stato, congedatosi nel 1989 con il grado di Maresciallo Maggiore Aiutante, quindi Cavaliere dell’Ordine al Merito della Repubblica e con altre onorificenze, tuttora attivo in diverse associazioni, abitando dal 1964 a Borgo Carillia di Altavilla Silentina (SA), dove il libro è stato presentato con successo.

Nativo di Tursi, è padre di tre figli, Lucia, Antonietta e Salvatore, oltre che nonno di sei nipoti, e da pochissimo vedovo (l’adorata moglie tursitana Maria Giuseppe Lacanna è deceduta a 81 anni, il 6 giugno).

L’avventura editoriale è davvero ragguardevole per la quantità, 200 pagine fitte e con un adeguato corredo fotografico in bianco e nero, e per la qualità della narrazione, colma di nomi, dati e fatti piccoli e grandi anche della storia italiana, oltre che ricca di aneddoti e di lucidi ricordi sulle trasformazioni dell’amato paese natio, dispiegati per oltre otto decenni.

Le memorie di D’Errico, e nel titolo racchiude quasi una filosofia del vivere e del considerare la propria esistenza, si avvalgono del magnifico, raffinato e incisivo ritratto dell’autore in copertina, opera del talentuoso ventiduenne tursitano Antonio Mango, ormai quasi al termine degli studi all’Accademia di Belle arti di Roma, artista tra i più apprezzati seguaci della scuola dell’anacronismo o pittura colta, altrimenti nota come citazionismo o ipermanierismo.

In apertura del libro l’ampia prefazione di Salvatore Verde (in tre parti: una digressione storico-letteraria tursitana, l’approfondimento dei temi e una sollecitazione sul rapporto “Cinema e Carabinieri”), che ha pure revisionato il testo.

Il cattolico D’Errico è un trascinante affabulatore e un indomito sognatore, ma anche un profondo conoscitore della complessità dell’animo umano e, soprattutto, con una sua “mistica” del senso del dovere. In lui coesistono lo sforzo “pedagogico” di capire e l’ancoraggio  a poche incrollabili certezze, senza che mai si sia lasciato irretire da facili schematismi. Insomma, un galantuomo d’altri tempi e dalla lunga appartenenza alla Benemerita, un ammirevole personaggio come tanti immortalati dal nostro miglior cinema post-bellico, che stupisce, rassicura e fortifica al contempo, per la sua elevata dignità e il robusto sentimento verso l’umanità sofferente e di rispetto per tutti, anche nella condanna per chi sbagliava.

Nel finale della sua introduzione, lo stesso D’Errico, ovvero “Ciccio il Maresciallo”, palesa con disarmante candore i suoi intendimenti: “(L’ho fatto) nell’illusione che se ne possano trarre anche minimi elementi di arricchimento interiore ed evitare quegli eventuali errori da me compiuti. Comunque, non in ultimo lo voglio ricordare, sono in pace, sereno e contento di essere riuscito a coronare i miei sogni di bambino”.

Francesco D’Errico, Il breve racconto della mia lunga vita, prefazione di Salvatore Verde, Edizioni: Centro Culturale Studi Storici “Il Saggio”, Eboli, 2016, pp. 201, s.i.p.

 

Dalla prefazione di Salvatore Verde:

Il valoroso e ricco tes(tament)to dell’ultra ottuagenario e lucidissimo Ciccio D’Errico, si pone come ponte esistenziale e letterario  tra i tursitani residenti e quelli dell’emigrazione almeno in Italia, ed è comunque il primo tentativo in assoluto di una persona tranquillamente normale nell’accezione ordinaria e senza elevati studi regolari, ma che potremmo definire anche ‘uomo comune’ senza sbagliare, essendo egli una sorta di straordinario e solitario eroe del quotidiano, come quasi tutti coloro che a questo mondo agevolano il corso della storia senza mai assurgere al ruolo di protagonista o comprimario, talvolta non essendo neppure una comparsa degli eventi. Ma si incorrerebbe in un errore grossolano se sminuissimo una esistenza come la sua, così ricca di esperienze, perché lui è stato sicuramente ‘qualcuno’, anzi di più, un personaggio a suo modo unico e irripetibile nell’umano panorama tursitano e perfino nell’Arma, raro ‘Carabiniere a cavallo’…

L’autore non deve dimostrare nulla nè ritrovarsi  con se stesso e neppure riconciliarsi con chicchessia o ricostruire una propria vocazione e manco ricomporre presunte contraddizioni. Egli è un tenace autodidatta, di mai rinnegate umili origini, adorabile padre di famiglia, cattolico praticante e fortemente innamorato del sapere. Una persona intelligente, perbene e simpatica, onesta e saggia, è bene rimarcarlo subito, con un alto senso del dovere, grande dignità e invidiabile maturità e umanità. E se in qualche caso ipotetico la memoria dovesse rivelarsi involontariamente imprecisa, più che un difetto, a noi pare uno stimolo per il garbato lettore, che dovrà essere attento a socializzare, con costruttiva dialettica postuma, una verità più esatta. Anche perché si ripropone l’antico dilemma, di cartesiana memoria: è preferibile vivere nell’errore piuttosto che nell’ignoranza…

Il limite della mancanza di studi metodici e sistematici, infatti, non può essere inteso come un ostacolo verso l’illuminazione di un punto di vista altro, nel caso magari affettuosamente partigiano e per niente agiografico, proprio perché privo di intellettualismi anche formali e di contorsionismi concettuali controproducenti.  Ma su tutto predomina l’ansia dell’uomo scrupoloso e della sempre romantica resocontazione della verità, con un lodevole taglio cronachistico e direi anche giornalistico, di ricercare l’autenticità mettendosi a nudo, esercizio tipico degli autori che amano confrontarsi con il passato-presente ma anche e soprattutto con il futuro, perché è fatale che la memoria fissata gli sopravviva e quel che resta dovrà fare i conti con la posterità. Ma, prima di ogni altra cosa, il suo è uno struggente atto d’amore, senza altre pretese.

Come tutte le narrazioni autobiografiche, anche questa è necessariamente sintetica, parziale, selettiva ed essenziale, con una scansione degli avvenimenti che dovrebbe agevolare la comprensione del percorso di crescita interiore, la genuinità dello spirito e l’articolazione del pensiero dell’autore, il tutto accomunato a una robusta visione etico-morale più che rispettabile, anzi per molteplici aspetti condivisibile, essendo ancorata a valori universali. La scrittura è lineare e il tono colloquiale, i ragionamenti semplici ma mai banali, la concettualizzazione è trasparente, specchio fedele di un uomo giusto con l’anima quietata. Il suo ‘eroismo intimistico’ chiarisce, tuttavia, come da umili e misere condizioni si possa pervenire a una ‘nobile meta’ e certo si inserisce nella umana lotta dell’uomo per l’illusione dell’eternità”.

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