STORIA DELLA CHIESA “MADONNA DELLE GRAZIE” / “S. MARIA LE GRAZIE” DI TURSI (MT)

Diocesi - Chiesa Storia di Tursi
Chiesa Madonna delle Grazie / S. Maria Le Grazie (come si presenta oggi)

Documenti originali, ben conservati e ottimamente trascritti chiariscono senza equivoci e con definitività la questione, per alcuni con un alone di “segreto o mistero”, della chies(ett)a  denominata “(La) Madonna delle Grazie” di Tursi (Matera). Finora si ignorava praticamente tutto di quella che ai nostri occhi sembra una cappella, almeno per le sue dimensioni non grandi. Qualsiasi approfondita ricerca, anche on line, non era approdata mai a nulla, e questa strana assenza di informazioni, quantomeno sospetta, aveva finito per irrobustire dubbi e sospetti. Nel merito, pure l’apprezzato storico della nostra contemporaneità, Rocco Bruno (Tursi, 05/01/1939 – 06/01/2009), ci ha detto soltanto tre cose:  si venera la Madonna delle Grazie; è sempre stata aperta al culto anche se mai parrocchiale; l’epoca di costruzione, per il suo stile barocco, si può datare tra il XVII e il XVIII sec. Quest’ultima affermazione, la più importante, si è rivelata  una sua felice intuizione, che possiamo confermare, ed è contenuta nelle cinque righe del suo testo ancora fondamentale Storia di Tursi (1979, 1989 e 2016, terza edizione aggiornata a cura del figlio Gaetano Bruno). Poi null’altro di chicchessia.

Solo il caso e tanta fortuna ci hanno consentito di stabilire adesso verità e certezze. Diciamolo subito: si tratta(va) della cappella nobiliare “S. Maria Le Grazie” della potentissima famiglia Brancalasso, la quale possedeva un banco sia nella chiesa di San Michele Arcangelo sia nella Cattedrale dell’Annunciazione, dove era ubicata anche la loro omonima cappella. La decisione di volerne edificare una nuova in altro sito (oggi praticamente appena sopra la via Eraclea) e di istituire il cappellano maturò dopo che due vescovi del periodo, dovendo eseguire i lavori “per render la nave della Chiesa con ordine simetrico majestosa”, tolsero di fatto dalla cattedrale “la cappella sotto il titolo di S. Maria Le Grazie” dei Brancalasso, che prevedeva almeno un banco, l’effigie della Madonna e la sottostante sepoltura di loro familiari. La nuova chies(ett)a fu eretta nel 1663, in contrada Brancalasso, per volontà di don Camillo Brancalasso (morto nel 1673), “per non perder la divozione verso la S.S.ma Vergine dell’espressato titolo, determinò nella sua pia mente, com’ossequio nell’anno 1663 a fabricar una Cappella a Lamia con picciola sagrestia a man sinistra nel di dentro”. La missione fu portata a termine dalla moglie Popa (Ippolita) Bitonte, che dotò la cappella di rendite sufficienti con atto notarile del 1676. Nel corso dei decenni successivi, almeno tra gli anni 1689 e 1779, la Cappella ha acquisito una certa rilevanza anche pubblica, tanto da avere rendite e donazioni significative (con i capitali dei pii benefattori).

L’attuale scoperta del tutto casuale è contenuta in un lungo manoscritto di 170 pagine, esattamente nella “Fedel memoria degli Uomini Illustri, Parenti, Stabili, Urbani e Rurali, Jus, Doti, Ragioni, Servitù, Prelazioni, Cappellanie, Benefici e sue Rendite, Notizie antiche appartenenti alla gentilizia famiglia Brancalasso, che ora si rappresenta dalli fratelli, Dottor Don Tommaso, Dottori Canonici della Cattedrale: Don Filippo, Abate Don Carlo e Don Nicolò Brancalasso, registrata nel 1744”. Il documento cartaceo originale è conservato nell’archivio familiare dei coniugi marchigiani Ambra Piccirillo e Ciriaco Sciarrillo Branclassi, tra i diretti discendenti dei nobili Brancalasso, la più grande e potente famiglia nobiliare tursitana nell’era dei Doria, signori della Città di Tursi. La trascrizione integrale del lungo testo (che si spera di pubblicare, proprio per il suo intrinseco valore storico) è stata effettuata mirabilmente dalla signora Ambra, con lodevole impegno e lavoro certosino durato diversi anni. Come sanno gli esperti, non sono state poche le difficoltà oggettive per restituire il senso compiuto di un contenuto datato, per le linearità grafico-sintattiche  e per la coerenza interna dei rimandi, ma soprattutto, per la complessità della precisa contestualizzazione di nomi, date, luoghi ed eventi.

Registrato ufficialmente nel 1745 e scritto senza fini artistici o estetici,  il testo afferma chiaramente, tra le tante altre cose, che la famiglia risponde delle sue azioni al re di Spagna e che, al suo interno, si tramanda oralmente un segreto di padre in figlio e di generazione in generazione.  Inoltre, è più ampio nella cronologia pur dichiarata, poiché, con le integrazioni degli stessi autori, fornisce notizie dal 1443 al 1797. Dunque, è una cronistoria dall’interno della dinastia dei Brancalasso, con assoluta ricchezza di particolari, fornendo una ricostruzione di oltre tre secoli della vastissima genealogia e di fondamentali vicende tursitane legate agli intrecci familiari ed ereditari, oltre ai legami con gli altri nuclei di nobili. Tutte informazioni dettagliate, comunque basilari, per capire l’evoluzione della società e del ceto nobiliare di Tursi, progressivamente sempre più potente. Quando il fascicolo mi è stato donato, nel 2016, era chiara la missione di approfondire i livelli di lettura e della comprensione dell’epoca, inquadrando e incorniciando l’azione dei loro protagonisti con serena distanza e documentata imparzialità, sia pure su un resoconto scritto da autori appartenenti alla stessa famiglia, perciò inevitabilmente di parte. Ma la scelta dei Brancalasso di aver voluto raccontarsi, nel rendicontare e magnificare la gloria della propria linea genealogica, con ascendenze e discendenze, se è vero che non può escludere del tutto un certo intento diremmo agiografico, tuttavia, si espone(va) alla verifica degli altri potenti contemporanei e soprattutto al sempre possibile e anzi probabile accertamento notarile disposto dalla stessa giustizia reale, trattandosi di moltissimi e puntuali riferimenti a possedimenti e beni sotto gli occhi di tutti. Sarebbe stato semmai più plausibile una volontà di rendicontazione per difetto e giammai per eccesso, considerato che nessuno avrebbe voluto (e vorrebbe) pagare le tasse su patrimoni inesistenti!

Sull’attendibilità dei beni posseduti, dunque, non possono sussistere dubbi di alcuna natura, tanto più perché, ed è la ragione primaria, tale elencazione avviene durante la fase di approntamento del “Catasto Onciario” della Basilicata (catasto a fini fiscali), richiesto dal re Carlo di Borbone nel 1736, dopo la sua visita in terra di Lucania dell’anno prima, durante la quale si rese conto della miseria e arretratezza del popolo e del divario crescente tra i bracciali e il ceto di civili  e nobili, che vivevano pur sempre di prodotti della terra e di animali. Da tale inchiesta dettagliata relativa alle condizioni della Basilicata, doveva emergere: il numero degli abitanti e dei non residenti (vedove e vergini comprese), indicando la professione, i salari di ciascuno e le tasse, operando la distinzione tra laici ed ecclesiastici con le istituzioni religiose (chiese, monasteri e luoghi pii). Insomma, una descrizione precisa di ogni centro abitato e della redditività delle campagne e ogni tipo di entrate, rendite e prebende di baroni, nobili e vescovi. Il Ministro del re Bernardo Tanucci lo elaborò e incaricò Rodrigo Maria Gaudioso, avvocato fiscale dell’Udienza di Matera, di acquisire formalmente tutte le informazioni relative alla Basilicata (divenuta Provincia unica nel 1643). Le notizie furono fornite da ogni singola Università (Comune), redatte dai Cancellieri e sottoscritte dal Sindaco e dagli Eletti. La Provincia, con sede a Matera, comprendeva 117 centri abitati (oltre ai due feudi disabitati di San Basilio e Policoro), ripartiti in quattro ripartimenti: Melfi, Maratea, Tricarico e Tursi (che includeva 30 centri abitati).  Il “Catasto” fu terminato dall’Università tursitana il 26 gennaio 1754.

Nell’ampia elencazione dei Brancalasso, arrivati a Tursi alla fine del XV sec.,  e forse anche prima, una specifica scheda del documento è dedicata, appunto, a “S. Maria delle Grazie”, con le dirette “rendite della detta cappella” e i “capitali de’ pii benefattori”. Per meglio comprendere il testo, è bene ricordare che a Tursi, fino alla seconda metà del 1600, esistevano tre parrocchie: della cattedrale dell’Annunciazione, nella parte bassa e periferica del paese; di san Michele Arcangelo, nel centro storico; e di Santa Maria Maggiore, nell’antico rione della Rabatana. Inoltre, nello stesso secolo XVII, fu costruita prima la chiesa di Sant’Anna, nel 1627, era vescovo mons. Alfonso Gigliolo (1619-1630), di Ferrara, e poi quella di San Filippo Neri (una lapide del 1661 ricorda forse l’intitolazione della stessa chiesa, sicuramente la costruzione del sacello/cappella/chiesetta da parte del vescovo Francescoantonio De Luca, 1654-1667, il quale contribuì allo sviluppo dell’Oratorio di S. Filippo Neri e ed edificò il palazzo vescovile). La Santa fu dichiarata protettrice della città di Tursi nel 1670, assieme al Santo. E non vanno dimenticati i due conventi già esistenti, dei padri Cappuccini (di San Rocco) e dei Francescani (San Francesco). In tutto il territorio tursitano, tra chiese, conventi e cappelle gentilizie, vi erano comunque una ventina di luoghi di culto. Non in ultimo, sempre nel secolo XVII, ma verso la fine,  il  vescovo Matteo Cosentino (1667-1702), di Aieta (CS), istituì un primo seminario diocesano, poi ampliato e migliorato dal successore Domenico Sabbatino (1702-1721), di Strongoli (KR). In tale periodo di grande fervore religioso e di imponenti edificazioni, giova onorarlo, emergerà la figura di padre Andrea Picolla (Tursi, 1666-1730), il Venerabile Servo di Dio, morto in odor di santità; figlio di una ricchissima famiglia, contribuì assieme al cognato barone Baldassarre Donnaperna a ingrandire  l’oratorio di san Filippo Neri (poi anche Municipio di Tursi), dove prima esisteva una vigna, praticamente nella collina che sovrasta(va) la cappella Madonna delle Grazie.

Nello scenario abbozzato del ducato di Tursi, feudo dei Doria di Genova, filospagnoli come i Brancalasso, questi ultimi avevano, sostanzialmente da sempre, diversificate e numerose postazioni nella gerarchia ecclesiastica, tramite propri rappresentanti di famiglia nel clero, oltre ad avere dentro i luoghi di culto vari riconoscimenti di status, chiesti e ottenuti e mantenuti. Siamo legittimati a chiederci, allora, da dove scaturisse l’esigenza insopprimibile di costruire una propria chiesa? Solo per dimostrare la solidità della fede attraverso le opere, come voleva la consuetudine di certe famiglie gentilizie e di nobili? Oppure per soddisfare un pio desiderio o un impegno, una promessa o un voto? Forse i rapporti con le autorità vescovili non erano più idilliaci a quel tempo,  un secolo dopo la traslazione della diocesi di Anglona a Tursi, disposta da papa Paolo III (con una bolla confermativa del 26 marzo 1546, diocesi che ebbe da allora il nome di Anglona-Tursi ed elevando a cattedrale la chiesa dell’Annunziata).

Il testo esaminato ci informa che ancora al tempo di Don Camillo Brancalasso, uno degli avi della famiglia, i quali ne avevano lasciato memoria, esisteva una Cappella denominata S. Maria Le Grazie nel primo pilastro della Cattedrale, con una postazione per il banco e la sepoltura, poi ricoperta dal vescovo, mons. Flavio Galletti, monaco di Vallombrosa, per rendere simmetrica e maestosa la navata della chiesa. <<Così il Don Camillo per non perder la divozione verso la S.S.ma Vergine dell’espressato titolo, determinò nella sua pia mente, com’ossequio nell’anno 1663 a fabricar una Cappella a Lamia con picciola sagrestia a man sinistra nel di dentro vicina la sua casa Palaziale ed avendo provisto il quadro coll’effigie della S.S.ma Vergine e col Bambino in Braccia rappresentante S.M. delle Grazie, e nel basso effigiati S. Cataldo, S. Biaggio, Santa Lucia, e S. Caterina e di tutte le suppellettili con intenzione di lasciar una messa nella settimana; prevenito dalla morte nel 1673 in circa restò tronca la sua pia deliberazione, seguita però dalla sua moglie Signora Popa Bitonte allorché era tutrice de’ suoi figli, e fondò con rendite da dirsi in appresso, la detta Cappellania con publico, e solenne Istromento ai 18 del mese di luglio 1676 per Notar Lionardo Antonio de Mellis di cui copia originale si conserva nel nostro Archivio… Edificò la Cappella sotto il titolo di S. Maria Le Grazie avanti le sue case nella contrada detta Renosa confine da un lato li beni di esso Camillo, e via publica, ed altri Parrocchia di S. Michele Arcangelo con intenzione di dotarla sufficientemente ed istituirvi il Cappellano, conforme avrebbe fatto, se non fusse passato a miglior vita, che però volendo essi procuratori Francesco Antonio, Giuseppe, Magnifica Ippolita nelli nomi predetti adempire la volontà del suddetto Camillo, che per publica voce, e fama evidentemente costa, acciò non resti defraudata dalli dovutii suffragii di messe hanno deliberato dotare la predetta Cappella sufficientemente>>.

Nelle scheda del “Banco della Cattedrale” e “Sepoltura”, a pag.149, infatti era precisato: “Banco della Cattedrale. Ora sta sito nel primo pilastro della Chiesa Cattedrale cominciando dal Presbiterio a man deritta, e propriamente quello di S. Andrea e Santissimo avanti il confessionale affronte del Pulpito, qual’è il nostro doppo l’altri, cioè del Sig. Panevino, Picolla, Virgilio, Mellis e Calabrese, ed avanti il detto Banco della Famiglia non deve star nessuno, mentre il Sig. Nicolò Giordano lo tiene nel dentro dell’Arcone del S.S.mo perchè non era costruita la Cappella di S. Antonio Juspadronato di detta famiglia, servendo ad uso delle Donne, allorchè vogliono starvi. Ed il Jus è perchè il detto Banco deve star indi primo pilastro cominciando dal Pilastro a mano deritta, e dall’ingresso della Porta maggiore è l’ultimo nella man sinistra, perchè nel detto Pilastro eravi la Cappella della Famiglia sotto il titolo di S. Maria Le Grazie, qual fu levata dal Monsignor Galletta a vista , ed a tempo del Don Camillo Brancalasso avo della Rappresentante Famiglia; l’effigie però rappresentante la S.S.ma Vergine fu rimasta fin nell’anno 1704, e coverta di calce bianca da Monsignor Sabbatino, come furono tutte l’altre Cappelle coverte per render majestosa la  Chiesa, e larghi l’archi, ed adorni nella struttura, questo è verissimo e per tradizione e per memoria lasciataci dalla Buona Intenzione del Don Pomponio Brancalassi; e sempre si è stato, e restò nel possesso, e particolarmente quando fra l’altri banchi vi è insorta differenza ed anche dalla sepultura poco avanti, che era avanti la detta Cappella, dove stanno in pace le ossa dell’Antennati della  Famiglia.

Sepoltura, sta sita nel primo pilastro già detto di sopra, ma poco più sopra com’anche di fronte (pag 140) colla raggione che avanti vi era la Cappella della Famiglia, e questa è gentilizia della casa, e non ereditaria, poichè si porrebbe ai figli della Sig.ra Elionora Brancalasso ultima rampa della casa Brancalasso come si è proibito nell’uso il Banco di S. Michele, come s’osserverà in appresso, ma fin’ora non si è fatta menoma opposizione in caso di morti de’ suoi figli>>.

Poi il declino, dagli inizi del XIX sec., con l’occupazione dei francesi e il ridimensionamento, la perdita e la ripartizione delle proprietà, la incipiente decadenza nobiliare e con l’Unità d’Italia, il restringimento della presenza del clero familiare, oltre alla pericolosità crescente di accesso al modesto luogo di culto, sempre più isolato e periferico, ma soprattutto per i mutati interessi e rapporti della famiglia Brancalasso con le locali autorità ecclesiastiche. Ma di questo, e altro, se ne dovrà riparlare.

Salvatore Verde

Antico stemma originale della Famiglia Brancalasso
Stemma della Famiglia Brancalasso (XIX sec.) in Vaticano
Stemma a Tursi del palazzo Brancalasso (ingresso B)
Stemma a Tursi del palazzo Brancalasso (ingresso A)

Trascrizione dal documento originale S.MARIA DELLE GRAZIE 

Juspadronato gentilizio della famiglia Brancalasso della quale ora ne son li rappresentanti il Dottor Don Tomaso, e li Canonici Dottori Don Abbate Carlo, e Nicolò Brancalassi, e li discendenti del Dottor Don Tomaso; e per darne la notizia di detta Cappellania eretta, e sita nella Città di Tursi in contrada di Brancalasso  conviene a ricorrere alle memorie lasciateci dagl’antennati, e convien sapere, che a tempo, e vista del Don Camillo, avo della rappresentante famiglia fu una sua Cappella sotto il titolo di S. Maria Le Grazie ricoverta nel primo pilastro della Chiesa Cattedrale; cominciando dal presbiterio a man deritta dal Monsignor Galletta per render la nave della Chiesa con ordine simetrico majestosa, ove li fu concesso il Banco per le Donne (anzi, vi era anticamente, com’appare dalla Platea del Don Camillo Brancalasso, e si conserva dalla Signora Elionora Brancalassi, osservata da me), e sepoltura rimasta, e così il Don Camillo per non perder la divozione verso la S.S.ma Vergine dell’espressato titolo, determinò nella sua pia mente, com’ossequio nell’anno 1663 a fabricar una Cappella a Lamia con picciola sagrestia a man sinistra nel di dentro vicina la sua casa Palaziale ed avendo provisto il quadro coll’effigie della S.S.ma Vergine e col Bambino in Braccia rappresentante S.M. delle Grazie, e nel basso effigiati S. Cataldo, S. Biaggio, Santa Lucia, e S. Caterina e di tutte le suppellettili con intenzione di lasciar una messa nella settimana; prevenito dalla morte nel 1673 in circa restò tronca la sua pia deliberazione, seguita però dalla sua moglie Signora Popa Bitonte allorché era tutrice de’ suoi figli, e fondò con rendite da dirsi in appresso, la detta Cappellania con publico, e solenne Istromento ai 18 del mese di luglio 1676 per Notar Lionardo Antonio de Mellis di cui copia originale si conserva nel nostro Archivio ed è del tenor seguente: – pag 142  destra copia metà pag…….. come il suddetto Don Camillo Brancalasso commun Padre di detti Pupilli e marito di detta Signora Ippolita prima di passar a miglior vita edificò una Cappella sotto il titolo di S. Maria Le Grazie avanti le sue case nella contrada detta Renosa confine da un lato li beni di esso Camillo, e via publica, ed altri Parrocchia di S. Michele Arcangelo con intenzione di dotarla sufficientemente ed istituirvi il Cappellano, conforme avrebbe fatto, se non fusse passato a miglior vita, che però volendo essi procuratori Francesco Antonio, Giuseppe, Magnifica Ippolita nelli nomi predetti adempire la volontà del suddetto Camillo, che per publica voce, e fama evidentemente costa, acciò non resti defraudata dalli dovutii suffragii di messe hanno deliberato dotare la predetta Cappella sufficientemente; e però oggi predetto di volendo mandar in effetto la detta loro deliberazione, spontaneamente, non per forza, o inganno, ma per ogni miglior modo, via eccetera dotano la Cappella predetta, e li donano donationis titulo irrevoc. inter vivos : due potteghe site, e poste dentro questa città predetta nella contrada della Piazza confini li beni delli Dottori Lorenzo, e Giuseppe Bonadies, e via publica, ed altri, franchi a ogni peso, e servitù ed a nessuno venduti, ne ippotegati, acciò delli frutti se ne debbia celebrare una messa la domenica in perpetuum con che li suddetti Pupilli, ed eredi di detto Don Camillo abbiano facoltà di poter eligere il Cappellano, più Rettore in detta Cappella in perpetuum, e detta facoltà d’eligere, e nominare detto Cappellano debbia essere non solo di essi Pupilli, ma anche delli loro eredi, e successori dipendenti da detto Camillo, e non altrimenti da linea trasversale, e non essendo linea mascolina succedano in detta elezione le femmine dipendenti da essi pupilli, com’anche ad esser eletti per Cappellani siano preferiti uno di essi suddetti pupilli loro eredi e successori della linea mascolina ut supra, e non essendovene della linea mascolina debbiano esser preferiti quelli della linea femminina dipendenti da essi pupilli. Le quali sopradette poteghe, ut supra offerte e donate per dote, et dotis nomine alla suddetta Cappella essi predetti Chierico Francesco Antonio, Reverendo Don Giuseppe, e Magnifica Ippolita  nelli nomi suddetti, liberano, rinunciano, e l’assegnano, e donano donationis titulo irrevoc. inter vivos ut supra con tutte le loro ragioni, azzioni et integro statu alla detta Cappella, e per essa al Cappellano  futuro, che sarà assente et a me Notar presente, e per essa Cappella, e futuro Cappellano stipulante, ed accettante dimodochè da oggi avanti, ed in perpetuum dette potteghe passino a pieno dominio, e possessione di detta Cappella e suoi Cappellani che saranno in futuro ed averli, tenerli e possiderli come veri Signori Padroni essi nominandoli Chierico Francesco Antonio, Don Giuseppe, e Magnifica Ippolita Procuratori come in casa propria e ve le promettono l’evizione seguente, o ippoteghe fatte, e difendere et antestare a detta Cappella, e  suoi Cappellani, e Cappellani dotanti, a qualsivogliono liti, e rifarli per tutti li danni spesi, ed interessi, com’anche promettono, e s’obbligano con giuramento la suddetta donatione ut supra fatta a detta Cappella e per lo sempre e in ogni futuro tempo rata, e ferma, e non contra venire alle cose predette per qualsivoglia raggione, o causa per la quale la sopradetta donatione vogliono che valga come se fusse fatta in qualsivoglia tribunale, loco, e foro, ed in presenza di qualsivoglia Giudice, e con tutte le Solennità necessarie, e promettono, ed in solido si obbligano non rivocarla per qualsivoglia raggione o causa et toties quotius donant, cedunt quoties,ne revocaverint, sic et simpliciter voluerunt et omni modo disposuerunt. Con espresso patto però, che la detta donazione non s’intenda fatta se prima Mons. Ill.mo non avrà concesso il suo beneplacito alle cose predette colle condizioni esposte di sopra, e non altrimenti, perchè allora esse parti intendono donare, adempite, che saranno tutte le suddette cose, e ciascheduna di esse condizioni, habbia forza di causa finale……  – segue copia fine pag 143 destra più tre righe inizio pag 143 sinistra – pag 143 –  Qual donazione, colle condizioni di sopra espressate, fu accettata, e solennizzata dall’Illustrissimo Monsignor  Don Matteo Cosentini, e speditane la Bolla furono investiti li detti fratti Dottori Brancalasso a 23 di luglio 1676 nel detto Juspadronato, ed indi nella suddetta fondazione: ne fu bollato il detto Francesco Antonio Brancalasso a 20 di Agosto 1656, che si conserva da suoi eredi la bolla, e continuo ad esser Cappellano sino a 23 di luglio 1689, e per incuria dei compadroni fra li quattro mesi fu devoluto il suddetto Beneficio all’ordinaria giurisdizione di quel Vescovo Don Matteo Cosentino, e così supplendo al difetto fu instituito il Chierico Gio: Andrea Brancalasso poi Arciprete della Chiesa Cattedrale e vacato per la morte di detto Beneficiato Arciprete a 22 7bre 1725 fu istituito, e bollato il Chierico Carlo Francesco Brancalasso poi Canonico ed Abbate a 30 di Marzo 1726 come dalla sua bolla di Monsignor Don Ettore Quarti, che si conserva nel nostro Archivio. La qual bolla fu a presentazione del Don Francesco Antonio, Don Tomaso, Dottori Canonici Don Filippo, l’istesso Abbate Carlo per procura, e Don Nicola, dichiarandosi nella detta  presentazione esser la Cappella, o Benefizio Juspadronato della Famiglia Brancalasso, e così sta registrato nelle visite, alfine d’escludersi esser il detto Benefizio non ereditario ma Gentilizio della Famiglia e come tale non puol presentarsi dalle femine, e per ciò morto il detto Don Francesco Antonio non puol aver jus la sua figlia , ora Elionora Brancalasso, e nemmeno per consequenza li suoi figli, e ne ad esser eletti Cappellani, parlando chiaramente. La prelazione della linea mascolina sempre alla femminina, come dalla donatione e per tal ragione si lascia a successori un’allegazione pag 144  fatta dall’Abate Don Carlo mentre stava in Roma: e se vi è qualche dubio nella presentazione, non vi sarà mai dubio nell’esser eletti quei della Famiglia, e cognome Brancalasso, venendo pavvivamente preferiti, e si stia avvertente nelle future vacanze chi avrà la sorte di rappresentar la detta Famiglia , mentre dalla presente non si è mancato et in molti et in varii modi far intesi li detti figli d’Elionora nell’esclusione dal detto Beneficio. La detta allegazione, scritture si conservano nel nostro Archivio, e stan ben registrate, raggirandosi il detto Juspadronato al pari di Fedecommesso addetto alla famiglia gentilizia, come per un’annotamento di dottrine lasciate nel detto Archivio. (Ambra Piccirillo)

La più antica rappresentazione della chiesa S. Maria Le Grazie, in basso a destra del centro abitato (in Antonio Nigro “Memoria Topografica E Istorica Sulla Città di Tursi E Sull’Antica Pandosia Di Eraclea Oggi Anglona”, Napoli, 1851 – Nuova edizione: Archivia, Rotondella, MT, 2009
Lapide posizionata nella Cattedrale diocesana dell’Annunziata di Tursi

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