
TURSI – Siamo in piena emergenza nazionale da coronavirus, l’invisibile Covid-19, che ha un’alta possibilità di facile contagio. Tutti siamo chiamati a un massimo senso di responsabilità, di maggiore consapevolezza e di totale impegno concreto. Un segnale importantissimo di come gli appelli possano e debbano stimolare tutti, nessuno escluso, a dare il meglio di sé e non il peggio, arriva dalla Fondazione Exodus di don Antonio Mazzi, nell’articolazione locale della Casa Exodus di Tursi, affidata da sempre alla cura sapiente della psicologa Piera Vitelli. Dalla struttura tursitana è arrivata una risposta immediata, modesta ma importantissima, con la riconversione di un laboratorio per la produzione di mascherine protettive di qualità e a norma in attesa di essere certificata. Sei giovani dai 17 ai 40 anni lavorano con entusiasmo al confezionamento, nella certezza della loro utilità e nel messaggio di speranza per il bene della società. Gli altri ospiti, in tutto sono una ventina i giovani con problemi di dipendenze, proseguono nelle loro diversificate attività quotidiane per completare i corsi e quindi il loro valido itinerario di riabilitazione.
“Con i modesti mezzi a disposizione ne confezioniamo oltre un centinaio al giorno, offerte poi ad altre istituzioni – ci dicono i ragazzi e la responsabile Piera Vitelli -. Anzi, saremmo di in grado di incrementare significativamente il numero di mascherine, se avessimo almeno un’altra macchina per cucire (lineare) e una bordatrice (per la bordatura). È questo il nostro appello”. Collocata nell’ex convento (XVI sec.) di S. Rocco dei Cappuccini, la struttura è operativa a Tursi, dal 1991, in via Della Pineta 9, avendo pure in dotazione una falegnameria di 200 mq, il laboratorio di restauro e di fotografia, una piccola fattoria e un campo sportivo polivalente. Ma adesso e per tutti la priorità è una sola, confezionare il più possibile mascherine protettive, che rappresentano, comunque, un primo strumento di difesa individuale dal contagio, fermo restando il generale imperativo categorico di rispettare le distanze nei rapporti interpersonali, le dettagliate norme igieniche e, soprattutto, di restare a casa.
Per contatti con la Casa Exodus di Tursi: tel. 0835 533211 – 532550; e-mail: tursi@exodus.it
Salvatore Verde



Domenica 22 marzo, quarta domenica di Quaresima, alle ore 11 si rinnova l’appuntamento streaming per la celebrazione della messa presieduta da mons. Vincenzo Orofino dalla Cattedrale di Tursi. La Curia Vescovile di Tursi-Lagonegro, coordinata dal Vicario Generale don Mimmo Buglione, comunica che è possibile fruire del collegamento in diretta a partire dalle 10.40, dalla pagina del sito internet della Diocesi dedicata alla diretta oppure tramite: Facebook, pagina “Diocesi Tursi-Lagonegro” e/o YouTube, canale “DiocesiDiTursiLagonegro”, anche da SmartTv. È un tempo di prova in cui tutti, come diceva Papa Francesco, nell’intervento all’inizio del santo Rosario del 19 marzo, sentono il bisogno di essere davvero consolati, avvolti dalla presenza d’amore di Gesù Cristo che invita a “rallegrarsi” (è la Domenica “Laetare” quella che ci si appresta a vivere) perché anche il cieco del Vangelo recupera la vista, la tenebra è vinta dalla luce e la grazia di Dio è più forte di ogni situazione di tristezza. Insieme al Vescovo, i sacerdoti, i religiosi e i fedeli laici desiderano bussare al cuore misericordioso del Signore per fare esperienza della consolazione della grazia, della misericordia divina, sentendosi un cuor solo e un’anima sola.
Per ulteriori informazioni: don Giovanni Lo Pinto, direttore dell’Ufficio per le Comunicazioni sociali, tel. 347 3016345

Un giallo storico in piena regola. Ho concluso così il precedente articolo on line del 4 marzo 2020, su Tursitani.it, nel rendere conto della notizia dell’omicidio di Baldassarre Picolla per mano di Don Giovanni Francesco Brancalasso, avvenuto ai primi L’omicidio Brancalasso-Picolla a Tursi, nel documento di Acerenza del 1616 (2)del XVII sec. Ne esistono, infatti, perlomeno due versioni importanti e contrastanti, anzi opposte, fermo restando il coinvolgimento delle due famiglie e i protagonisti dell’uccisione. Il secondo racconto in ordine cronologico è nel manoscritto originale di 170 pagine dal titolo Fedel memoria degli Uomini Illustri, Parenti, Stabili, Urbani e Rurali, Jus, Doti, Ragioni, Servitù, Prelazioni, Cappellanie, Benefici e sue Rendite, Notizie antiche appartenenti alla gentilizia famiglia BRANCALASSO, che ora si rappresenta dalli fratelli, Dottor Don Tommaso, Dottori Canonici della Cattedrale: Don Filippo, Abate Don Carlo e Don Nicolò Brancalasso, registrata nel 1744. Si intuisce con immediatezza che si tratta di uno scritto di parte dichiarata, proveniente dall’interno della discendenza genealogica diretta. Lo stesso documento appartiene ai discendenti della grande famiglia Brancalasso, i coniugi anconetani Ciriaco Sciarrillo Branclassi e Ambra Piccirillo, la quale ha trascritto mirabilmente il testo, dopo anni di assiduo lavoro. Altri discendenti dei Brancalasso si trovano a Tursi.
Come avevamo accennato già nel precedente intervento, l’altra versione che proponiamo adesso sarebbe la prima rispettando le date, ed è quella che si impone nel saggio Tursi. Alle radici del toponimo Rabatana, del noto medievista Nicola Montesano, inserito nel voluminoso Tursi La Rabatana (Ministero per i Beni e le Attività culturali – Fondazione Sassi di Matera; Cooperativa Grafica Italiana- Bari, per Altrimedia Edizioni, Matera, 2004), curato dall’accademico dei Lincei Cosimo Damiano Fonseca, con il coordinamento della ricerca e la cura redazionale di Rosalba Demetrio. Tralasciando altre questioni contenute nell’importante libro collettivo, di 382 pagine, sono di indubbia rilevanza tutti i contributi di Carmela Biscaglia, Gemma Colesanti, Maurizio Delli Santi, Luida Derosa, Maria Lucia Gaudiano, Edoardo Geraldi, Fabrizio Terenzio Gizzi, Maurizio Lazzari, Bruna Lionetti, Cosimo Lionetti, Nicola Masini, Maria Bruna Palomba, Antonella Pellettieri, Sabina Piscopo, Maria Rosaria Potenza, Pina Radicchi, Vincenzo Sgura e, per quanto ci riguarda in particolare, lo studio di Montesano, che accenna alla vicenda omicidiaria.
Non ci è stato possibile verificare direttamente il documento originale che l’autore cita e, pertanto, ragioniamo interpretando sia la trascrizione che l’autorevole studioso ha pubblicato (e che riportiamo integralmente in allegato) sia il corsivo da lui utilizzato nel libro. Dunque, Montesano scrive: <<Nell’Archivio diocesano di Acerenza, il cui vescovo avendo il titolo di metropolita poteva essere interpellato anche per cause civili, è conservata una serie di faldoni contenente gli Appelli della diocesi di Tursi e Anglona. In un documento del 4 gennaio 1616 il canonico D. Leonardo Pontino, delegato diocesano per far luce sull’uccisione di Baldassarre Piccola, avvenuto a Tursi il 21 dicembre dell’anno precedente, raccoglie la deposizione di una certa Jiulia de Joanne de Carbono, che: “… essendo andata… nella rabatana in casa della signora Dionora Notabile per certo suo negotio, alla retornata et fece a’ banco alli massitani… il medesimo giorno ad hora di vespera D. Gioseppe Valerio Aulid.o presso nello pizzo di Ciccarello alla rabatana et il detto Aulid.o D. Gioseppe hera quasi mutato di colore in faccia et camminava di buonpasso et essa Julia chi fu’ alla Chiesa di santo Michele (ploamore) et havea inteso si firmò da dove vidde quando Gianfrancesco Brancalasso Gioseppe Brancalasso, et Fanno di Gravina, et si diceva havennero commisso l’omicidio in persona del quondam Baldassarro Picolla nella piazza pubblica di detta Città se né fugiano et andremo a’ santo Francesco et questo intesi…
Dalla stessa testimonianza apprendiamo che la ragione del contendere, che portò all’uccisione del Piccola, era da riferirsi alla volontà del Giovan Francesco Brancalasso, autore materiale dell’omicidio, di favorire il fratello Giuseppe all’elezione di Camerlengo della Rabatana, a discapito proprio della vittima. Dalla lettura di questa testimonianza ricaviamo due diverse informazioni: la prima di carattere strettamente toponomastica; la seconda di natura istituzionale. L’esistenza di una carica pubblica dell’Universitas civium di Tursi preposta alla sorveglianza e alla custodia della Rabatana, conferma le affermazioni del Nigro sulla netta separazione del borgo dal resto del paese, che in questo caso è anche politico-istituzionale, oltre che fisica. Il Camerlengo della Rabatana aveva il compito di vigilare sulla quiete notturna di questa parte di paese, e di sorvegliare l’accesso che poteva avvenire solo attraverso il Ponte della Rabatana e della torre del castello, che fungeva da ingresso alla Rabatana e che sicuramente veniva chiuso nelle ore notturne>>. Fin qui il Montesano direttamente.
Poi, nella nota 12 di riferimento, a pag 40, troviamo la lunga trascrizione del fatto incriminato e oggetto di indagine. In buona sostanza, il 4 gennaio 1616, la trentenne Julia Joanne de Carbono sotto giuramento è esaminata e interrogata dal reverendo Leonardo Pontino, canonico della Cattedrale, vicario della diocesi di Anglona Tursi e delegato diocesano alle indagini. Interrogata si essa detta sa’ si alcuna persona fosse stata causa di fare ammazzare il predictum Baldassarro Piccola, da chi dove quando, et in che tempo, et per qual causa. Julia disse si, ricordando che il 21 di dicembre era andata in Rabatana, per suoi motivi, a fare un servizio in casa della signora Dionora Notabile; al ritorno si fermò nel rione San Michele per delle compere, dopo che, all’ora del tramonto dello stesso giorno, nel Pizzo di Ciccarello (l’attuale Piccicarello) della Rabatana, aveva visto D. Gioseppe Valerio Aulid.o stravolto (quasi di mutato colore in faccia e camminava di buonpasso). Arrivata alla chiesa di San Michele Julia, si fermò e vide Gianfrancesco Brancalasso, Gioseppe Brancalasso e Fanno di Gravina; su di loro aveva sentito che avevano commesso l’omicidio di Baldassarre Picolla nella piazza pubblica (oggi Piazza Plebiscito) della Città di Tursi e aveva capito che stavano fuggendo e capì anche che ‘andremo al convento di san Francesco’. Gianfrancesco venne in casa di Giuseppe Brancalasso, dove poco dopo arrivò anche D. Gioseppe Valerio, che stette un po’, il tempo di far montare una sella sul cavallo, intuì Julia, e se ne ritornò a San Francesco dove fece portare subito anche il cavallo sellato e montato dal figlio d’Amelio. Julia comprese, inoltre, che Don Gioseppe Valerio ordinò al proprio figlio d’Amelio di prestare il cavallo a Gioseppe Brancalasso al convento, come in effetti avvenne, e questo lo conferma Julia, tornata a casa sua la sera, poiché abita nel vicinato di Don Gioseppe Aulid.o.
Quindi fu chiesto a Julia se, quello stesso giorno, avesse visto l’Aulid.o andare in piazza in compagnia dei due Brancalasso, Giovan Francesco e Gioseppe, lei rispose che era risaputo da tutti. La moglie di Giovanni Francesco e Gioseppe si erano lamentati e si lamentano molto di D. Gioseppe Valerio, dicendo che Giovan Francesco aveva l’abitudine di stare un paio di ore in casa dopo aver mangiato e poi era solito uscire, cose che fece anche quel 21 dicembre, quando venne a trovarlo Don Gioseppe e insieme andarono poi a casa di Gioseppe Brancalasso, dalla quale abitazione uscirono tutti e tre nella vicina strada della casa di monica Ottavia Caputa, dove Don Gioseppe si fermò, mentre Giovanni Francesco e Gioseppe Brancalasso andarono in piazza. Poco dopo si sentì il rumore della piazza, i due Brancalasso avevano ucciso il Baldassarre Picolla; la madre del Picolla, udito il rumore e avendo ricevuto il mantello del figlio, chiese cosa fosse successo. Le fu risposto, racconta sempre la Julia, che suo figlio Baldassarre aveva avuto la stoccata e lei subito uscì di casa per andare in piazza dove vide il figlio ferito. Con la signora Picolla c’era Don Gioseppe Valerio che si mise davanti e le disse che non era nulla di grave e così Grazia Picolla, madre di Baldassarre, se ne ritornò a casa. E questo è stato riferito a Julia da molti presenti che diffusero la voce che Baldassarre era stato ammazzato da Gioseppe e Giovan Francesco Brancalasso. Motivo: fare un favore a D. Gioseppe Aulid.o che voleva a ogni costo Gioseppe Brancalasso come Camerlengo della Rabatana, poiché lo stesso Baldassarre Picolla più volte si era lamentato con D. Gioseppe Aulid.o, accusandolo di prendere le parti di Gioseppe Brancalasso e di volerlo favorire per fargli ottenere il grado di Camerlengo, al quale incarico aspirava anche il Baldassarre (così interpreta il Montesano).
A questo punto il documento appare oscuro, contorto, incomprensibile e non è assolutamente chiaro chi dica cosa a chi: “Picolla lamentandosi che lo Aulid.o pigliava le partite di detto Gioseppe per farle havere detto Camberlingato stesso Brancalasso controdiceva et uccidendo a detto Aulid.o pigliava le parti di detto Gioseppe, et se andava così fannitile li detto quondam Baldassarre diceva che per essi non mancava à farcilo arrivare al detto Camberlingato et queste differenze sono passate, et essa Julia have inteso per bocca del detto Baldassarro, et questi sopra”. E tutto questo Julia lo aveva appreso direttamente dalla bocca di Baldassarre. Infine, quando fu chiesto a Julia se nell’andare e ritornare dalla Rabatana qualcun altro avesse visto (e sentito) le stesse cose, lei rispose che era in compagnia soltanto di suo figlio, il minore Marc’Antonio Carbone, che vide e seppe le stesse cose. Firmato da Julia con segno di croce di mano.
Dal confronto tra i due diversi documenti, anche se scritti con finalità diverse, faremo presto delle congetture, ritengo comunque interessanti, per meglio capire o addirittura risolvere il “giallo Picolla-Brancalasso”.
Salvatore Verde





Un omicidio origina un matrimonio e una storia coniugale importante tra due nobili casate. Non è un romanzo e neppure un film, ma farebbe parte della storia di Tursi, quella dei Brancalasso e dei Picolla. Accadde prima del mese di giugno del 1605, forse. Insomma, il lieto fine, dopo la tragedia, fu foriero di novità positive nella discendenza delle generazioni. Ma con una avvertenza significativa: ti tale evento funesto esiste almeno un’altra versione ufficiale, con gli stessi protagonisti dell’uccisione, ma senza rimandi alla successiva unione matrimoniale. Così è scritto nel manoscritto originale di 170 pagine, dall’interno della famiglia, in Fedel memoria degli Uomini Illustri, Parenti, Stabili, Urbani e Rurali, Jus, Doti, Ragioni, Servitù, Prelazioni, Cappellanie, Benefici e sue Rendite, Notizie antiche appartenenti alla gentilizia famiglia BRANCALASSO, che ora si rappresenta dalli fratelli, Dottor Don Tommaso, Dottori Canonici della Cattedrale: Don Filippo, Abate Don Carlo e Don Nicolò Brancalasso, registrata nel 1744, di proprietà dei discendenti dei nobili e potenti Brancalasso, i coniugi marchigiani Ciriaco Sciarrillo Branclassi e Ambra Piccirillo, lei autrice della lodevole trascrizione, durata anni. Ci racconta un’altra storia, invece, il contenuto di un documento del 1616, conservato nell’Archivio diocesano di Acerenza, Appelli. Tursi-Anglona (1609-1619), riportato da Nicola Montesano nel volume collettivo Tursi La Rabatana (2004).
Il racconto di come si pervenne al matrimonio tra Don Giovanni Domenico Brancalasso e la signora Delica Picolla, ci dice che scaturì da una forte inimicizia (nacque da una gran distinzione, per liti di Università, doppo, fra varii odii, e rancori fra essi loro contratti) tra Don Giovanni Francesco Brancalasso e Baldassarre Picolla. Un contrasto divampò per questioni legate al conteso possesso di beni comunali per il pascolo degli ovini. Baldassarre sfidò Giovanni Francesco nella piazza della Città di Tursi (si ha motivo di credere che essa sia l’attuale Piazza del Plebiscito), dicendogli chiaramente che avrebbe continuato a pascolare le sue pecore, benché fosse stato diffidato dal farlo, non soltanto nel terreno oggetto della disputa ma pure vicino alla masseria (nel poggio controverso, ma anche, nelle teste delle finestre). Ascoltate quelle parole provocatorie e intollerabili, oltre che gravemente offensive, tanto più per l’onore di fronte ad altre persone, Don Giovanni Francesco ammazzò Baldassarre (probabilmente lo infilzò a morte) in una macelleria della famiglia Santissimo e poi trascinò il corpo morto dalla piazza all’abitazione del Picolla, poco distante. I familiari della vittima pensarono subito alla vendetta (per il quale omicidio, ne insorse una fiera inimicizia, tra la casa Picolla e Brancalasso).
Don Gio: Francesco Brancalasso trovò immediatamente rifugiò nel convento di San Sebastiano (nella parte bassa dell’attuale rione Petto), dove un suo zio era priore. Seguirono gli appostamenti dei Picolla per ucciderlo e una sera decisero di agire. Erano nascosti nelle case adiacenti, videro il Brancalasso e uno dei Picolla sparò con l’archibugio, ma colpì in pieno la statua di Sant’Antonio, che era posizionata in una nicchia esterna del muro, ben in vista dalla strada (in una sera, uno di detti Picolla nascosto in quei casaleni e guardando il Brancalasso per ammazzarlo tirò un’archibusciata, e colpì nella statua di Sant’Antonio, che stava nel nicchio di un muro di fuori, e patente alla strada). Per quel colpo devastante, la vicenda assunse un altro risvolto causato dalla versione univoca che ne diedero subito dopo il Priore e il Brancalasso. I due, infatti, e fecero ricorso e denunciarono l’accaduto alla Santa Congregazione e ad altri Tribunali, mettendo in cattiva luce il Picolla autore, a loro dire, dell’intenzionale sparo oltraggioso contro il Santo (per qual colpo si unì il Priore e di Brancalasso ne fecero ricorso dalla Santa Congregazione, ed altri Tribunali e fecero apparire gravissima l’ingiuria fatta al Santo, dal qual inferno ne appariva reo il Picolla contro il Brancalasso).
A quel punto, per limitare danni e conseguenze (per evitare le ulteriori inimicizie),si mosse Don Giovanni Domenico Brancalasso (huomo d’arme della compagnia di Caserta, figlio di Gio: Brancalasso e di Lionarda di Leo) che si propose per un matrimonio con Delica Picolla, dunque per una definitiva pace onorevole, per sugellare antichi e solidi rapporti e per ristabilire il duraturo equilibrio di amorevole e distinta parentela. E questo avvenne (con la dote di ducati 800, 500 in contanti, e 300 d’appanamenti) grazie alla mediazione di Don Andrea Picolla, figlio del Baldassarre ucciso, padre di Delica Picolla (intermiedianti le buone insinuazioni del Don Andrea Picolla a prendere per isposa la riferita Signora Delica Picolla e che è quanto per fidele e giusta relazione degli antenati senza menioma alterazione e così per la Dio grazia ora si osserva la parentela con tutto amore e distinzione fra le dette famiglie Picolla e Brancalasso). A seguito di tali accadimenti, il convento fu posto sotto controllo nella sua limitata attività (qual Convento fu represso ed è applicato a questo seminario). Dal matrimonio tra Gio: Domenico Brancalasso e Delica Picolla (maritata con carta dotale stipulata a 13 giugno 1605, e fatta a 20 maggio 1606), nacquero quattro figli, due maschi e due femmine: Don Camillo e Nonno, Grazia e Vittoria.
Il dottore Don Andrea Picolla, che aveva 47 anni nel 1580 ed era figlio di Baldassarre, ebbe cinque figli: Don Francesco Antonio, Don Scipione, Delica, Grazia e Baldassare. Don Andrea era posato con Grazia Donnaperna (figlia di Bernardino Donnaperna, sorella di Don Gio: Antonio Asprella e vedova relitta di Don Francesco Antonio Picolla). La figlia Grazia fu moglie del Dottor Signor Gio: Lorenzo Panevino, per la quale si è contratta la parentela fra li Picolla, Panevino, e Brancalasso.
Sulla vicenda omicidiaria e matrimoniale, nulla ci ha detto il grande Antonio Nigro (Tursi, 1764 – 19/05/1854), valoroso medico e archeologo, primo storico locale, nella sua sempre valorosa e ancora imprescindibile opera Memoria Topografica Istorica Sulla Città di Tursi E Sull’Antica Pandosia Di Eraclea Oggi Anglona (stampato a Napoli, nel 1851, dalla Tipografia di Raffaele Miranda in Largo delle Vigne, 60, come ci ricorda Battista D’Alessandro, editore della IIa Edizione per ArchiviA di Rotondella, MT, nel 2009). Invano, pure, si cercherebbe qualcosa nelle tre edizioni dell’ottima Storia di Tursi di Rocco Bruno (Lino-Tipo Policarpo, Gonosa, TA, 1977; Romeo Porfidio Editore, Moliterno, PZ, 1989; edizione aggiornata a cura del figlio Gaetano Bruno, con Gianluca Cappucci, Waltergrafkart, Moliterno 2016).
La notizia dell’omicidio, però, come è stato accennato, è nel maxi volume Tursi La Rabatana, a cura del grande Cosimo Damiano Fonseca (Ministero per i Beni e le Attività culturali – Fondazione Sassi di Matera; Cooperativa Grafica Italiana- Bari, per Altrimedia Edizioni, Matera, 2004). Pur con le ombre totali sulle grotte ed alcune inevitabili incertezze, il libro contiene saggi di indubbia levatura e merita ricordare tutti gli studiosi: Carmela Biscaglia, Gemma Colesanti, Maurizio Delli Santi, Luida Derosa, Maria Lucia Gaudiano, Edoardo Geraldi, Fabrizio Terenzio Gizzi, Maurizio Lazzari, Bruna Lionetti, Cosimo Lionetti, Nicola Masini, Nicola Montesano, Maria Bruna Palomba, Antonella Pellettieri, Sabina Piscopo, Maria Rosaria Potenza, Pina Radicchi, Vincenzo Sgura. Il coordinamento della ricerca e la cura redazionale erano affidate a Rosalba Demetrio. Nel libro di 382 pagine i Brancalasso sono appena citati, di fatto riconoscendo un ruolo sostanzialmente marginale alla famiglia più potente in loco, la quale era all’epoca in stretto rapporto fiduciario con i Doria, duchi di Tursi, e aveva sconfinati possedimenti. Una stranezza, come il documento ufficiale al quale fa riferimento il Montesano, per chiarire l’uccisione di Baldassarre Picolla. Certo, un documento va talvolta decifrato, contestualizzato, interpretato e si ragiona con le certezze dei tempi. Ma le differenze appaiono e sono abissali e inconciliabili, tanto da poter affermare che sicuramente uno dei due documenti non dica (in tutto o in parte) la verità, intenzionalmente o per mero errore si vedrà. Capiremo quale dei due, se possibile, prossimamente, perché dell’omicidio si riporta una versione completamente diversa. Un giallo storico in piena regola.
Salvatore Verde

TURSI CALCIO 2008: D’Elia, Gallo, Panio, Mazzei (10′ s.t. Guglielmucci), Di Pierri E., Simeone, D’Errico (32′ s.t. Costantino), D’Oronzio, Di Pierri A., Carluccio, Buccolieri. A disp. Palermo, Morrone, Virgallito, Guida, Malvasi. All. Marino
CASTELSARACENO: Sarubbi, De Mare, De Stefano (10′ s.t. Lofiego), Lardo U., Biasco, Iacovino F. (20′ s.t. D’Arretta), Cirigliano E., Iacovino G., Iacovino V., Lardo F., Cirigliano A. A disp. Latronico, Rizzi. All. Iacovino
ARBITRO: D’Adamo di Policoro
RETI: 8′ p.t. Di Pierri A.; 5′ s.t. D’Errico, 22′ s.t. Carluccio, 29′ s.t. Lardo U., 47′ s.t. De Mare
NOTE: ammoniti D’Elia, Buccolieri, Lardo U., Cirigliano A.
TURSI. Vittoria fondamentale del Tursi Calcio 2008 contro il Castelsaraceno per la corsa alla salvezza. Un 3-2 denso di emozioni, che ha visto prevalere i ragazzi di Marino, i quali hanno condotto la gara per oltre un’ora senza grossi affanni. Infatti il Tursi dopo soli 8′ passa in vantaggio grazie a Di Pierri A., che è molto lesto a girare in porta un cross di Mazzei. Il Castelsaraceno prova subito a reagire e in ben due occasioni va vicino al pareggio. Al 15′ Lardo U. si ritrova da solo in area ma il suo tiro è centrale e consente la facile parata di D’Elia. Al 30′ invece Cirigliano A. colpisce indisturbato di testa, ma a pochi passi dalla porta manda il pallone sopra la traversa. Il Tursi, quindi, superati i due pericoli si riporta in attacco e proprio nel finale di tempo D’Oronzio salta due avversari e lascia partire il tiro dal limite trovando però la vigile parata di Sarubbi. Le squadre vanno dunque al riposo sull’1-0.
Nella ripresa la squadra di casa parte di nuovo forte e al 5′ si porta sul 2-0 con D’Errico, il quale con un grande stacco di testa batte Sarubbi. Il Tursi a questo punto ha il pieno controllo della gara e va più volte vicino alla terza segnatura, che arriva puntuale al 22′ con Carluccio: il fantasista salta quasi tutta la difesa e davanti a Sarubbi lo batte con un tocco di destro. Arrivato il terzo goal, però, il Tursi abbassa la sua attenzione consentendo il rientro in partita degli avversari. Al 30′ infatti Lardo U. segna su punizione dal limite sinistro dell’area di rigore e regala qualche speranza di rimonta ai suoi. Al 39′ De Mare entra in area ma arriva stanco al momento del tiro e D’Elia ha vita facile nel bloccare la palla. Nei minuti di recupero invece il Castelsaraceno si vede assegnato un calcio di rigore per un fallo di mano di Simeone, visto dall’arbitro, su un tiro al volo di De Mare. Dal dischetto lo stesso De Mare batte D’Elia, il quale aveva comunque intuito l’angolo del tiro. Negli ultimi minuti dei quattro assegnati dal signor D’Adamo il Tursi riesce a gestire il risultato e porta a casa tre punti importantissimi in chiave salvezza. La classifica si fa dunque più dolce per i ragazzi di Marino che allontanano Castelsaraceno e Materasassi e agganciano la Lainese, squadra che affronteranno proprio domenica in trasferta.
Giulio Cesare Virgallito
*Riceviamo e pubblichiamo


TURSI – La lunga siccità del 1760-61 restò nella memoria anche dei potenti dell’epoca, tanto da renderne conto nella cronistoria della famiglia Brancalasso. Non piovve per diciassette mesi e tale prolungato periodo di aridità caratterizzò tutto il vasto territorio di Tursi e oltre. E’ la più grande calamità naturale a noi nota e della quale si ha notizia certa. L’essenzialità descrittiva, priva di intenti estetici e letterari, è qui senza riferimenti a particolari iniziative religiose o anche superstiziose oppure ad altri fatti grandi o piccoli del periodo, mentre si comprendono tutti gli elementi di una politica annonaria, relativa alla domanda e all’offerta, ai prodotti agricoli raccolti e ai prezzi scaturiti e imposti, oltre che alla stessa tipologia del diversificato consumo.
Il tutto si ritrova nelle 170 pagine del manoscritto, esattamente a pag. 164 di Fedel memoria degli Uomini Illustri, Parenti, Stabili, Urbani e Rurali, Jus, Doti, Ragioni, Servitù, Prelazioni, Cappellanie, Benefici e sue Rendite, Notizie antiche appartenenti alla gentilizia famiglia BRANCALASSO, che ora si rappresenta dalli fratelli, Dottor Don Tommaso, Dottori Canonici della Cattedrale: Don Filippo, Abate Don Carlo e Don Nicolò Brancalasso, registrata nel 174 (in realtà gli autori estendono gli avvenimenti generali dal 1443 al 1797). Il testo è conservato dai coniugi di Ancona Ciriaco Sciarrillo Branclassi e Ambra Piccirillo, che l’ha encomiabilmente trascritto dopo anni di faticoso impegno. Olio, vino, orzo e soprattutto grano e bambagia furono le produzioni più colpite e questo aumentò a dismisura il numero dei poveri che invasero e frequentarono la Città di Tursi (comparvero più poveri forastieri delle nostre marine che della città ad un numero altissimo). Intervenne il Barone Donnperna per regolamentare la vendita del pane, in accordo con le tre maggiori famiglie dell’epoca, i Picolla Barancalassi e i Camerino, oltre agli stessi Donnaperna. La calamità fu mortifera per gli animali (E per l’animali fu fierissima detta siccità), mancando dalle campagne praticamente quasi del tutto il loro cibo.
E per meglio comprendere le dimensioni della catastrofe, basterà raffrontare le località citate con la quantità del raccolto: Masseria di Basso, tomoli seminativi 110 raccolto tom 22, ma olive seminate normalmente; Masseria della Torretta, 115 per tom. 18 e niente biade e paglie; Masseria della Serra per tom. 100, da 350 appena 30 tom. d’orzo; a Marone una raccolta significativa di bambagia, praticamente assente nel restante territorio di Tursi e Anglona, tale da causare il blocco dell’intera economia, con povertà e miseria.
Toglie ogni dubbio la trascrizione integrale di Ambra Piccirillo: “Si da memoria, che nell’anno 1761 fu un’indigissima annata di grano, bombace e vino ed oglio per la siccità da un anno e cinque mesi, e comparvero più poveri forastieri delle nostre marine che della città ad un numero altissimo che le tre primarie case di Donnaperna, Picolla Brancalassi, Camerino non comperarono grano, orzo sebbene il grano andava da carlini dieci ad dodici e fu oppresso il pubblico dell’annona fatto dal Barone Donnaperna a carlini quattordici il tommolo ed il pane ascendeva a carlini 18 che l’intervento fu magnifico, proibendosi all’altri casati di diminuire il pane, ed a forza dovevano comprare dal panittiere dell’annona, irregolarmente fatta. La massaria di basso nel detto anno, per tom. 110 di seminato se ne raccolse tom.22, e l’olive seminate normalmente. La masseria della Torretta 115 per tom.18 e niente di biade e paglie. Nela masseria della Serra per tom. 100, si raccolse tom. 350 da 30 tom. d’orzo. E per l’animali fu fierissima detta siccità. Marone fu singolare nella raccolta della bombace a 800, mentre tutte l’altre seminate nel territorio di Tursi, ed Anglona affatto non se ne raccolse, ed è così il prezzo finì a carlini quattro il grano, poichè se si fosse raccolta bombace, non vi sarebbe povertà e miseria”.
Non stupisca quest’ultima affermazione, sul ruolo della bambagia come motore derivato dell’economia rurale. Anche il medico e archeologo Antonio Nigro (Tursi, 1764 – 19/05/1854), primo e massimo storico locale, nel suo ancora attualissimo e fondamentale Memoria Topografica Istorica Sulla Città di Tursi E Sull’Antica Pandosia Di Eraclea Oggi Anglona (Napoli, 1851), così descriveva la società del tempo e annotava pure un secolo dopo: “I terreni di ogni prodotto capaci sono, come di grano, biade, legumi, vino, olive, frutti di ogni genere, agrumi di varie sorti, ortaggi, e specialmente bambagia, essendo questa l’unica industria, filata dalle donne per vivere, e quasi l’unico mezzo di rendita ad accrescere le sostanze delle famiglie civili. Il Governo vi teneva un regio procaccio per vetturare continuamente nella Capitale rolli di cottone filato, il quale fu poi levato da Gioacchino Murat in tempo della sua occupazione militare nel 1811. L’ordine plebeo è addetto chi ala zappa, e chi all’aratro, e chi alla coltura dei giardini: non vi sono mancati de’ buoni sartori, falegnami, calzolai, pittori, vasai, ecc. Oggi tutto è in decadimento, ed in scarsezza. Le donne sono addette a continuamente filare bambagia, che in tempo del procaccio si mandava così filata nella capitale; oggi perché un tal negozio è decaduto, se ne formano tele di varia larghezza, e coperte da letto di vario lavoro le quali manifatture poi a’ mercanti si vendono, che spesso spesso in traccia ne vanno” (testo integrale).
Salvatore Verde

*TURSI CALCIO 2008: D’Elia, Gallo, Panio, Mazzei, Di Pierri E., Simeone, D’Errico, D’Oronzio, Di Pierri A., Carluccio (18′ s.t. Guglielmucci), Buccolieri (30′ s.t. Morrone). A disp. Palermo, Costantino, Virgallito, Guida, Mastropierro. All. Marino
V.R. EPISCOPIA: Tortorella, Di Sario, De Leo, Falabella, Iannuzzi, Alvarez (28′ s.t. Reale), Fanelli (18′ s.t. Melchionda), Caruso, Salvo, Marra, Mitidieri. A disp. Chiacchio, Cafaro, Donadio, Iorio, Bianco, Celano, Pelosi. All. Iorio
ARBITRO: Ciano di Matera
NOTE: Mazzei, Palermo, Gugliemucci, De Leo, Salvo, Mitidieri.
TURSI. Torna a fare punti tra le mura amiche il Tursi Calcio 2008 che impatta l’Episcopia sullo 0-0. Risultato bugiardo per i padroni di casa, i quali meritavano di più per le occasioni create e per il gioco espresso. I ragazzi di Marino dimostrano fin da subito un piglio molto aggressivo e già al 6′ D’Oronzio ha una buona occasione dal limite dell’area ma non inquadra la porta. Nella fase centrale della prima frazione di gioco la partita si stabilizza prevalentemente in mezzo al campo. Le due squadre provano a creare delle moli di gioco offensive prontamente sventate dalle due difese. Al 37′ Carluccio riceve la palla in area e prova il tiro, ma la palla finisce sopra la traversa. Al 40′ invece Carluccio serve in verticale D’Errico, il quale prova un tocco sotto sul portiere in uscita, ma trova solo l’esterno della rete. Il Tursi preme ma non riesce a trovare la via del goal, quindi il primo tempo si chiude a reti inviolate.
Il secondo tempo riparte con la stessa intensità e con il gioco a volte troppo confusionario soprattutto in attacco. Tra il 17′ e il 18′ il Tursi ha due occasioni. Prima Carluccio tocca di testa ma Tortorella blocca senza affanni. Poi Simeone scarica il destro da fuori area trovando ancora la parata del portiere ospite. Al 23′ D’Elia esce completamente a vuoto senza trovare la palla, che finisce sui piedi di Iannuzzi il quale a porta vuota calcia fuori. Un minuto dopo Melchionda tutto solo in area si divora la rete del vantaggio spedendo la palla a lato. Al 27′ Gugliemucci si invola verso la porta, ubriaca con le sue finte Marra e Mitidieri, ma il suo diagonale fa la barba al palo ed esce. Al 35′, i locali reclamano anche un calcio di rigore per un tocco di mano di Mitidieri. Nei minuti finali si scatena, invece, un parapiglia tra le due panchine che viene poi calmato con l’arrivo di altri componenti delle due squadre e dell’arbitro. La partita si conclude dunque sullo 0-0, un punto che fa morale per i tursitani per la sfida salvezza di domenica prossima contro il Castelsaraceno.
Giulio Cesare Virgallito *
Riceviamo e pubblichiamo


TURSI – Territori tursitani frequentati da una moltitudine di cinghiali, non soltanto in aree densamente boschive ma anche in prossimità di caseggiati, con dentro le tane, e un cacciatore ospite perfino del nord Europa. Se qualcuno intende riferirsi all’attualità, deve rivedere la questione proprio dal punto di vista storico. Si tratta, fino a oggi, della più antica citazione locale del cinghiale in testi ufficiali, non finalizzati alla descrizione dell’attività venatoria. Le notizie, infatti, sono contenute nel manoscritto originale “Fedel memoria degli Uomini Illustri, Parenti, Stabili, Urbani e Rurali, Jus, Doti, Ragioni, Servitù, Prelazioni, Cappellanie, Benefici e sue Rendite, Notizie antiche appartenenti alla gentilizia famiglia Brancalasso, che ora si rappresenta dalli fratelli, Dottor Don Tommaso, Dottori Canonici della Cattedrale: Don Filippo, Abate Don Carlo e Don Nicolò Brancalasso, registrata nel 1744”.
Tale documento è di proprietà dei coniugi anconetani Ciriaco Sciarrillo Branclassi e Ambra Piccirillo, che ha integralmente e magnificamente trascritto le 170 pagine, dopo alcuni anni di assiduo impegno. I Brancalasso erano, appunto, i loro nobili, potenti e grandi antenati filo spagnoli, come i Doria di Genova, duchi di Tursi, e i Donnaperna. Il racconto della dinastia, con molti, puntuali e particolari genealogici, costituisce una miniera di notizie, eventi, nomi e date (con gli aggiornamenti operati dagli stessi quattro fratelli dal 1443 al 1797). Considerato evidentemente (anche) allora un fenomeno straripante, tanto da meritare più volte l’annotazione, e siamo almeno alla fine del XVII sec., la descrizione della presenza dei cinghiali è riferita alle località tra Tursi, Anglona, Policoro, ovvero, con precisione nella “Masseria di Basso, detta anche Masseria Fiorenza, sita nel Feudo di Anglona, colli casaleni, più case dirute nel vallone di Cercapane, nel petto di Pollicoro, nella contrada e fontana del Piano di Mezo, a Panevino, nella Massaria di Basso, detta Panarace”.
Tutte zone ad altissima densità boschiva (Panarace era boscoso, e spineto i cui se tal’uno non era pratico vi si perdeva), destinatarie di massicci interventi di disboscamento per recuperare terreno seminativo alla coltura del grano, ma anche, e non sembri una stranezza, per meglio delineare i confini delle proprietà, “ne’ comprensorii quali erano tutti boscosi, e la misura si facea ad occhio, per che in nessuna fatta maniera poteva entrar il compasso”, essendo quindi una questione dibattuta, complessa e foriera di longevi litigi, anche violenti e tragici. In particolare “la Massaria di Basso, si cominciò a sboscarsi dal Don Pomponio Brancalassi dall’anno 1708, e primieramente li casaleni erano alti, e dentro vi erano le tane de’cinghiali, ed altre fiere selvaggie, e così abbassate le muraglie, fece tutte, e le stanze, e suppiano nuovo per commodo de’ foragi, e di buoi, come al presente appariscono, fece il Pozzo, e Pilaccio da tirar aqua a mano… In ogn’anno si continuava lo sboscamento, e già molti terreni delle manche furon ridate a cultura, passato poi il Don Pomponio all’altra vita, l’Arciprete Dottor Don Gio: Andrea diede fine, e ridusse tutte le manche, e matine a cultura, ed altresì terminati i confini, come appariranno”.
Notevole, poi, la descrizione di una scena di caccia, collocata a Panarace. Questi era “il più ampio e Signoril comprensorio, che possiede la Famiglia Rappresentante (Brancalasso, N.d’A.) ed è compreso nella Massaria di Basso, detta Panarace, perchè è fertile, e ferace di pane per il frumento, che vi si semina, o pure, perchè nelle manche verso il fiume Agri vi era, e vi è una fontana, che chiamasi Panarace: nell’anno 1715 era tutto boscoso, e spineto i cui se tal’uno non era pratico vi si perdeva, e ripieno di cinghiali , ad altri animali selvaggi, anche in tempo di nostra memoria, e nell’anno 1730 il Duca di Belgio con cacciatori tirò ad un cinghiale, bestia così grossa, che dava spavento a spettatori, ma non lo colpì, ed di continuo stava in una tana che al romor de’ bacchettieri, e schioppettate non mai si partiva: e le vacche, e i bovi da per loro stessi entravano ed uscivano”. Notare la finezza della scrittura, avendo gli autori omesso il nome del nobile Belga (non ancora stato indipendente, fino al 1831), chiaramente ospite dei Brancalasso, avendo costui fallito il colpo, in presenza di altri! Insomma, Tursi è sempre stato zona di caccia, com’è ampiamente noto, un tempo frequentato dall’orso bruno e da altri animali selvaggi, compreso il mitologico cinghiale, oltre che da generazioni di cacciatori, fino ai nostri giorni.
Salvatore Verde

TURSI – Claudio Verde è il nuovo Capo gruppo Cisom di Tursi (MT). La nomina formale, su proposta di Michele Difonzo, Capo raggruppamento della Puglia, risale al 5 febbraio scorso ed è a firma del Direttore nazionale Giovanni Strazzullo. Nell’atto di nomina si precisa che si è proceduto in tal senso “considerata la necessità di dover avvicendare l’attuale Capo Gruppo di Tursi”. Che era Salvatore Caputo, lo storico fondatore del gruppo tursitano, dal 2013. Questi ha caldeggiato tale indicazione, all’insegna della continuità, dopo anni di sempre proficua collaborazione ed eccellenti rapporti, dagli anni della fondazione.
Il Cisom, acronimo del Corpo Italiano di Soccorso dell’Ordine di Malta, è una organizzazione no-profit, com’è ormai universalmente noto, e opera attivamente nell’ambito delle funzioni di Protezione civile. In particolare, interviene in caso di calamità naturali o derivanti dall’attività dell’uomo, a livello nazionale ed internazionale, e nelle emergenze regionali e locali, oltre agli interventi connessi all’organizzazione di grandi eventi e per le maxi emergenze, anche a supporto di urgenza sanitaria, e in attività di collaborazione con enti ed istituzioni e di formazione e informazione rivolta ai cittadini.
Dipendente comunale dal 1984, vigile urbano dal 1999, il cinquantanovenne Claudio Verde si è laureato all’Isef (Istituto superiore di educazione fisica) di Napoli, nel 1990, ha al suo attivo diverse missioni Cisom e attualmente è anche capitano della Polizia locale del Comune di Tursi.


COLOBRARO – La Festa della Pace tra le magiche vie di Colobraro, sabato 15 febbraio, partenza alle 15.30. L’ACR parrocchiale propone di viverlain modo itinerante, dall’oratorio parrocchiale al Castello “Carafa”, oggetto di recenti altri lavori di riqualificazione e restauro, completati dal Comune. Un gesto che invita a riflettere sul Messaggio del Papa offerto a tutta la Chiesa in occasione della Giornata Mondiale della Pace, tema di quest’anno: “La pace come cammino di speranza: dialogo, riconciliazione e conversione ecologica”. «Consapevoli delle parole di Papa Francesco – dice Caterina Sarlo, responsabile del settore ragazzi dell’Azione Cattolica parrocchiale – ossia che “la pace è un bene prezioso, oggetto della nostra speranza, al quale aspira tutta l’umanità”, si tratta di voler aiutare i ragazzi e le loro famiglie a comprendere che lungo le nostre strade e nei gesti di ogni giorno si possa essere costruttori di pace attraverso gesti di amore al prossimo e di attenzione alla natura, con il perdono e con lo sguardo che cerca incontro e fraternità con l’altro». Il percorso annuale di ACR richiama quanto sia importante riconoscersi in un territorio da amare e di cui condividere fatiche e speranze, dire che ogni comunità, ogni parrocchia è quella “città giusta” in cui potersi incontrare con il Signore e per donare il suo sorriso a chi è nel bisogno.
Gesti importanti proposti e vissuti nell’anno dai ragazzi colobraresi di AC sono stati anche la preparazione del presepe e dell’albero di Natale con gli anziani ospiti della locale struttura “Sant’Antonio” e con gli ospiti della casa-alloggio gestita dal Collettivo Colobrarese, oltre alla visita nel periodo natalizio per lo scambio degli auguri e la condivisione della merenda nelle due strutture assistenziali presenti nel paese. «Un cammino abituale conosce alcuni momenti in cui la plasticità di alcuni gesti (camminare insieme, pregare e cantare, celebrare e riflettere) fa la differenza – afferma il parroco don Giovanni Lo Pinto –, la Festa della Pace è un momento che vuole esprimere tutto questo in una comunità vivace e bella. Il Papa dice che la speranza è la virtù che ci mette in cammino, ci dà le ali per andare avanti. Non vogliamo rinunciare alla bellezza di questa speranza che ci fa amare la realtà in cui viviamo e apprezzare tanta sua bellezza. E poi, dopo Pasqua, prima della Festa degli incontri che si vivrà a livello diocesano il 25 aprile, proporremo una rappresentazione con la quale inviteremo a riflettere sull’ambiente e sul creato a ridosso della Giornata della Terra».