La franchezza e l’impegno del regista Aurelio Grimaldi, presidente della giuria del festival Cortosplash, al Lido di Rotondella

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Aurelio Grimaldi
Aurelio Grimaldi

LIDO DI ROTONDELLA – “Pasolini è stato sempre, come ha vissuto, contro. Contro il sistema, il potere, la tradizione, la superficialità, l’omologazione. Oggi ne avrebbe avuto di cose da dire, a dispetto della incredibile glorificazione postuma. È stato ucciso da Pelosi, non credo al complotto. Dobbiamo farcene una ragione”. Sono parole amare, ma di grande consapevolezza, del regista Aurelio Grimaldi, 57 anni, tra i più importanti autori del cinema italiano.

Debutta nel 1992 con La discesa di Aclà a Floristella, seguito da La ribelle (1993) Le buttane (1994). Dedica poi una originale trilogia a Pasolini (Nerolio, 1996; Rosa Funzeca, 2002; Un mondo d’amore, 2003), ma non dispera di portare a compimento l’altra trilogia su Aldo Moro. “Il produttore ha avuto problemi economici e il lavoro si è interrotto, ma il girato rappresenta oltre l’80%, prima o poi lo terminerò. Certo ho rispetto per l’uomo, e lo rivaluto molto, ma il politico ne esce malconcio. Come coloro che si defilavano negli anni Settanta, dicendo ‘né con lo Stato né con le Brigate rosse’. Si sta dalla parte dello Stato, non c’è dubbio, e la follia brigatista è stata giustamente sconfitta, ma provo un senso di profondo rispetto per coloro che sacrificano la propria vita per difendere le idee e i principi in cui credono, benché io non li condivida affatto”.

Sovente Grimaldi, che non ha frequentato scuole di cinema, porta sul grande schermo le sue notevoli opere letterarie, ma è anche sceneggiatore (Mery per sempre, 1988, dal suo romazo, e Ragazzi Fuori, 1990, entrambi di Marco Risi) mentre i film hanno girato nei maggiori festival cinematografici del mondo. Con la modestia dei grandi, ha presieduto per tre sere la giuria di Cortosplash, il festival diretto dall’infaticabile Giuseppe Tumino al Lido di Rotondella, dove ha presentato l’ultimo film Alicudi nel vento (2015), suo primo lungometraggio documentario, sul suo ritorno nell’isola, in un viaggio culturale tra i pochi abitanti, per fare ancora il maestro (professione che ha esercitato da giovane nel carcere minorile palermitano).

Lo abbiamo incontrato prima del verdetto. L’abituale franchezza di Grimaldi disarma, sorprende e stimola al contempo, almeno quanto il suo impegno e la nettezza del punto di vista, anche sull’attualità. “Mi aspetto molto dal ministro Franceschini, che ha promesso una nuova legge sul Cinema. Renzi ha smosso una situazione paludosa. L’era berlusconiana ha causato più guasti che altro, compresa la distruzione del cinema italiano”. La formazione cinematografica è utile se fatta seriamente, ma in giro ci sono un sacco di fregature”.

Poi si toglie un sassolino dalla scarpa, che tanto lo insegue e infastidisce dai tempi de Il macellaio (1998), dal romanzo Le Boucher di Alina Reyes, film con Alba Pairetti e Giulio Base: “Io non faccio film erotici, mi interessa invece la sfera della sessualità umana, che vedo suscita ancora reazioni contrastanti”. E l’esperienza sul mar Jonio? “Conosco bene Matera, città unica, come il Cortosplash, un festival gioiellino. In verità, le tante ‘lucanie’ di cui è composta la regione, mi facevano pensare stranamente a una Basilicata più grande e popolata. Certo necessita di farsi conoscere, ma non dimentico il magnifico Cristo si è fermato a Eboli (1979) di Francesco Rosi, girato qui. Al prossimo bando della Lucana Film Commission penso che parteciperò (sorride)”.

Salvatore Verde

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