NEL LIBRO “LE IMPRESE DI TURCICO” I RACCONTI DI SALVATORE DI GREGORIO

Libri

Il fantastico è la conoscenza inconscia dell’invisibile, così amano dire i più raffinati esperti del genere che, per modalità narrative e situazioni, si colloca totalmente nell’ambito della finzione, proprio perché esula dalla realtà, quand’anche la narrazione sia ispirata a fatti storici con i protagonisti realmente esistiti. Non è certamente il caso dell’omonimo Turcico, pure se una vulgata lo ritiene il fondatore di Tursi, un guerriero, il cui nome è stato linguisticamente trasformato nel corso del tempo, prima Tursico e poi Tursi, a causa della perdita dell’ultima sillaba nel primo e imprecisabile Medioevo (periodo millenario, convenzionalmente compreso fra la caduta dell’Impero Romano d’Occidente, 476 d.C., e la scoperta dell’America, 1492).

Tuttavia, Salvatore Di Gregorio (56 anni), tenendosi giustamente all’esterno di tale complicata ipotesi, ne fa il personaggio principale dei suoi sedici brevissimi racconti, adesso riproposti nel piccolo libro dal titolo Le imprese di Turcico – L’avventuriero cavaliere rabatanese” (73 pagine, s.i.p. in 298 copie numerate, 2022). Già il disegno di copertina di Giuliana Pugliese, che ritrae il protagonista con fattezze androgine e lo stesso panorama, con la “pitrizza/petrizza” allora inesistente, indica l’assoluta non aderenza alla oggettività e alla concretezza, come bene mette in evidenza una nota del 2005, quasi una prefazione, del prof. Romolo Runcini (1925-2014), tra i maggiori studiosi internazionali della Letteratura del Fantastico, che l’autore aveva conosciuto l’anno prima a Colobraro (MT), a un convegno sul tema.

Di Gregorio, infatti, ci invita a un viaggio che si dipana tra fantasia, immaginazione, creatività, inventiva, incantesimi, magia, mito, sovrannaturale, mostri, mistero, in un turbinio di realismo onirico ad occhi aperti, tipico della universale tradizione orale, che prescinde dal principio della verosimiglianza e della coerenza, come dalla documentazione e del rigore formale, e perfino dalla categoria del possibile, con incantesimi, streghe, incubi, oggetti portentosi, creature diaboliche, divinità, demoni, segreti, enigmi. Il limite dell’assoluta (in)coerenza del racconto è qui trasfigurato nel piacere della libertà incondizionata, e anche se la collocazione temporale si precisa nella seconda metà del XIV secolo, la fantasmagoria ingloba sia un tempo senza tempo sia originari addentellati geografici di vasta area, “un mondo metastorico”, ci dice, appunto.

Certo, ci sono prove da superare con gli Scintilli, con lo Scarazzo, il gigante Cervone, il mostro Cumparò e Sebastiano, con il mistero del Santissimo, le fate e i cavalieri templari, al tempo della peste e nel Venasciuolo, e inoltre con il licantropo, il terlizzo, i demoni meridiani. Ma il tutto è pur sempre a lieto fine per il grande, sapiente, forte e alto Beniamino Turcico, l’eroe solitario, esploratore, viaggiatore, cacciatore, dal fisico alto e asciutto, muscoloso e con le braccia lunghe, insomma, un leggendario combattente che abita nella Rabatana, “il luogo delle meraviglie”, con il suo cavallo Nyx (Notte). A parte alcune imperfezioni e ingenuità editoriali e grafiche, si potrebbe tentare una mappatura dei luoghi citati, per scoprire il nesso toponomastico con la effettività dei posti a noi vicini e noti, oltre a verificare la sedimentazione di variegate letture con le originali o riattualizzate riproduzioni lessicali, antiche e desuete, potendosi scoprire una geografia e il paesaggio interiore in simbiosi con la feconda nominazione utilizzata, mentre finanche la serialità disvelerebbe le profondità forse a una lettura e decifrazione psicanalitica.

Occorre, dunque, lasciarsi trasportare nella finzione per accettare e gustare il piacere di un’altra realtà, talvolta ridondante, talaltra omissiva ed eccessivamente riduttiva, ma è chiaro anche che, per dirla con l’autore, “non ci sono perché per i grandi personaggi ed i grandi saggi… sembra che possiedano il dono della predizione.  Loro leggono e conoscono la storia… ancora ci si chiede se certe cose accadono per caso oppure è un disegno del destino già predeterminato”, perché va ribadito che “nasce l’avventura quando si sente il profondo bisogno di solitudine… e i miti, come si sa, non vanno indagati”. Ma in fondo, ci confessa l’autore, “la principale fonte d’informazione su quello che succedeva nel proprio territorio era rappresentata dai racconti dei viaggiatori”, come i nonni facevano al focolare con i nipoti e come Salvatore Di Gregorio fa con noi.

Salvatore Verde ©

Nota biografica dell’Autore

Nato nel 1965 a Tursi, dove vive e lavora, Salvatore Di Gregorio è contraddistinto da sconfinata curiosità e sorprendente eclettismo creativo, assai raro nel panorama tursitano. Già corrispondente del Quotidiano della Basilicata (2002-2012), egli è un ottimo fotografo, con un apprezzato calendario (sulle bellezze architettoniche del territorio tursitano cadute nell’oblio, 2000) e con notevoli mostre personali (sui luoghi pierriani, 2002; sulla Carovana della maglia rosa nei calanchi di Tursi, 2004), oltre ad aver pubblicato Anglona & Tursi – Guida a notizie storiche (1999), Se le dicete a Dettete iete ‘u vere! (libro sui proverbi, detti e motti tursitani, 2003). Ma Di Gregorio è soprattutto tra i più estrosi e grandi conoscitori del territorio tursitano e non soltanto, come si intuisce leggendo anche Le imprese di Turcico (2002). (s.v.)

Lascia un commento