Storia della ex chiesa di Sant’Anna di Tursi (1630), e delle sue cappelle di giuspatronato laico, presto in abbandono come luogo di culto

Varie notizie
Quello che resta oggi della ex chiesa di S. Anna (foto di Donato Fusco, gennaio 2021)

Illustro un aspetto del dinamismo partecipativo alla vita della chiesa di Sant’Anna di Tursi (eretta nel 1630, oggi di proprietà ecclesiastica), e offro una risposta al perché sia stata abbandonata definitivamente dai fedeli e dalle autorità del tempo.

Convinto che taluni libri importanti si debbano leggere e rileggere, anche e soprattutto a distanza di tempo, ogni tanto rispolvero i pochi testi di storia di Tursi, confidando sempre in un pizzico di fortuna e sperando di potere ottenere utili nuovi stimoli per vecchi interrogativi comuni, lasciati da sempre sospesi. Approcci, contesto, interessi, metodo e cultura cambiano, ma alcune notevoli questioni storiche dell’amato paese restano. Come la vicenda della chiesa di sant’Anna, da tempo non più luogo di culto, costruita sicuramente nella prima metà del XVII secolo, ma già in triste decadenza e praticamente in disuso nei primi decenni dell’Ottocento, salvo poi essere restituita  a una nuova frequentazione alla fine del secolo, fino alla chiusura definitiva nel Novecento. Dunque, cosa è accaduto? Mistero. Finora assolutamente nulla, neanche una strampalata ipotesi. Eppure si tratta di una chiesa importante del passato tursitano. Il rispettabile studioso locale Rocco Bruno (70 anni; Tursi, 5 gennaio 1939-6 gennaio 2009), nella sua Storia di Tursi[1] (1989), allo sfortunato sito religioso dedica quattro essenziali righe: “La chiesa di Sant’Anna, oggi adibita a sede regionale per la formazione professionale, fu fondata nel 1627 sotto l’episcopato di mons. Giliolo. Sant’Anna nel 1670 fu dichiarata, unitamente a san Filippo Neri, protettrice della città di Tursi. In questa chiesa vi era una cappella redditizia detta di Santa Monaca”. Ancora più lapidario il medico e archeologo, Antonio Nigro (90 anni; Tursi, 1764-19 maggio 1854), massimo storico di Tursi, il quale è stato il primo a indicare una data della fondazione, ma aggiunge un particolare nella imprescindibile Memoria Topografica Istorica Sulla Città di Tursi E Sull’Antica Pandosia di Eraclea Oggi Anglona[2] (1851): “La Chiesa fu fondata ne 1627, sotto il Vescovo Giliolo, oggi è diruta”. Poi il sostanziale vuoto di notizie, protrattosi fino ai nostri giorni, né vale come alibi o finta attenuante il doppio incendio, dell’8 e 10 novembre 1988, che ha distrutto la cattedrale diocesana dell’Annunziata di Tursi e quindi l’intero archivio in essa conservato, proprio perché a riguardo nulla era mai scaturito in precedenza.

Nel 1600, molti indicatori dimostrano quanto il secolo sia stato contraddittorio per le vicende di Tursi. Che, tra l’altro, raggiunge sia l’apice demografico assoluto, tra i maggiori anche su base regionale, sia il minimo, dopo la terribile peste nel Regno di Napoli, del 1656-1658, che, almeno a livello statistico, ridusse di fatto e sostanzialmente la popolazione a un terzo, tra fughe e morti; inoltre, consolida il suo notevole ceto nobiliare, mentre si afferma più forte il ducato di Carlo Doria e dei suoi discendenti; si attesta nella transizione della Regia Udienza di Basilicata, che però viene subito spostata altrove e non è mai stato chiarito il motivo;  non in ultimo, assiste al diffondersi di pratiche magiche e alla decadenza dei costumi, anche nei monasteri, ma si aggiungono alcune imponenti costruzioni (il seminario, l’ingrandimento dell’oratorio, il palazzo vescovile) e, prim’ancora, due rimarchevoli luoghi di culto: la chiesa di Sant’Anna e poi quella della Congregazione dell’Oratorio di San Filippo Neri (era vescovo Francesco Antonio De Luca, 1654-1667, e una lapide del 1661 ricorda la costruzione del sacello e forse l’intitolazione dell’annessa chiesa). Il Santo divenne protettore della città di Tursi con la Santa dal  1672 (dal 1670 era “Protettrice S. Anna, siccome si ricava dal Sinodo Diocesano di Monsignor Cosentino… del 1 maggio”, scrive il Nigro). Oltre ai due conventi già esistenti, dei padri Cappuccini (di San Rocco) e dei Minori Osservanti (San Francesco), tutta la vita religiosa si svolgeva principalmente attorno alle tre parrocchie esistenti: Santa Maria Maggiore, nell’antico rione della Rabatana; san Michele Arcangelo, nel centro storico; cattedrale dell’Annunciazione, nella parte più bassa dell’abitato.

La chiesa di S. Anna, era collocata extra moenia, fuori dello sviluppo del centro urbano, dal quale era separato dal torrente Pescogrosso. Ferma restando la data di stampa, e per ora mettiamo da parte il legittimo dubbio se Antonio Nigro abbia scritto il suo libro in gioventù oppure in vecchiaia (o nei due tempi), la situazione sembrerebbe compromessa alla metà del 1800, essendo la chiesa diruta. Quasi esattamente un secolo dopo, si deve registrare un’altra versione, che appare una smentita indiretta, e arriva dal maestro tursitano e direttore didattico a Moliterno (PZ) Vincenzo Cristiano[3] (86, anni; Tursi, ore 22 del 17 agosto 1865 – Tursi, 21 maggio 1952), oltre che poeta assai particolare della quotidianità locale, dunque cronista d’eccezione del suo tempo. Egli ci  offre un serio indizio, quasi un primo riscontro forse decisivo al più grande interrogativo (al quale personalmente attribuisco il massimo valore). Infatti, poco prima della sua morte, nella seconda delle sei sezioni del libro Poesie, quella intitolata “Tursi Rione, Chiese e Monasteri (per cartoline panoramiche)”, Cristiano scrive questi quattro incisivi versi: “S. Anna – Con Acciardi tu fosti rinomata, / ma venne l’erosione assidua e lenta; / però non se’ del tutto abbandonata / e il dì verrà in cui sarai redenta”. Con Mons. Gennaro (Maria) Acciardi (74 anni; Napoli 30 settembre 1809 – Tursi, 14 marzo 1883), grande vescovo antimodernista della diocesi di Anglona Tursi, dal 20 aprile 1849 fino alla morte (tranne una parentesi postunitaria, quando riparò a Napoli, Roma e Frascati), la situazione deve essere cambiata in meglio, ovvero la chiesa sarebbe stata oggetto di recupero strutturale. Dunque, a ben pensarci, possiamo già intuire quanto sia accaduto, senza sensazionalismi, verosimilmente,  realisticamente.

La fondazione

Ma è opportuno esaminare alcuni documenti per approfondire la conoscenza storica della chiesa e avanzare una ipotesi credibile. Dal Nigro in poi, si è tramandata l’anno di fondazione, il 1627, tuttavia, in un istrumento del 16 febbraio 1629, recuperato da Rosanna D’Angella[4], straordinaria ricercatrice d’archivio, “si fa menzione della fabbrica per la erigenda Chiesa di S. Anna extra moenia di Tursi, i cui responsabili sono il decano della chiesa cattedrale di Tursi, Pietro Antonio Areale, il rev. Bartolomeo Iuliano e il rev. Palmerio de Guida, deputati (notaio Marcatonio de Pasca, Tursi, 1629)”. Era vescovo (1619-1630) mons. Alfonso Gigliolo, di Ferrara. Ragionevole supporre, pertanto, che i lavori fossero iniziati ma non completati, se due anni dopo la costruzione non era ancora terminata. Successivamente, com’era usuale, la zona verrà chiamata Contrada S. Anna, peraltro certificato da atti notarili (notaio Giovanni Francesco Valicente, 1672; Leonardo Antonio de Mellis,1685), ma la toponomastica non si arricchisce subito, occorrendo un po’ di tempo: “Lucia Pastore, vedova del fu Pietro de Monte di Tursi, dona inter vivos tutti i suoi beni stabili e mobili a favore della chiesa di S. Anna extra moenia di Tursi, sita in contrada ‘Lo Sannale’, rappresentata dal rev. Nicola Antonio Panevino, deputato (notaio Giovanni Francesco Valicente, Tursi, 22 luglio 1631)” (R. D’Angella). Pochi anni dopo la nuova toponomastica si fissa, avvalorata da una sconfinata documentazione in tal senso, e così resta.

Le cappelle dentro la chiesa

Molti documenti notarili dimostrano una notevole presenza di cappelle all’interno della chiesa, le quali coinvolgono diverse famiglie importanti dell’epoca, attraverso il giuspatronato e i cappellani, il riferimento è soprattutto agli Andreassi e ai Penevino, ma interessa pure altra gente anche di fuori per il culto e le donazioni, in un arco temporale all’incirca dal 1650 al 1765. Il legame intenso e duraturo della famiglia Panevino con la chiesa di S. Anna è avvalorato significativamente  dal testamento olografo del  rev. don Camillo Panevino, scritto il 28 agosto 1762 (muore due giorni dopo), con il quale istituiva suo erede universale il nipote Francesco Antonio d’Amato, figlio di Domenica Panevino. Tra le altre cose, don Camillo “legava al rev. canonico don Giambattista Mazzei ducati sei per la celebrazione di venti messe nella cappella di S. Anna e altrettante, che erano peso di detto Camillo in qualità di ‘economo della cappella della Candelora’” (D’Angella). Appunto, S. Anna, non le altre storiche chiese parrocchiali.

La cappella del Carmine

Nominata con alcune variazioni, la cappella del Carmine (anche Beata Vergine del Carmine, Madonna del Carmine, del Carmelo, Santa Maria del Carmine), “eretta dentro la chiesa di S. Anna extra moenia di Tursi”, è la più antica della quale si abbiano notizie certe, dal 4 maggio 1652. Inizialmente dei coniugi  Oliverio e Sicuranza, nel 1704 il giuspatronato passò al dottor Gaetano Panevino. La chiesa era ubicata esattamente in contrada “ubi vulgo dicitur il pizzo di Sciabuzzo” (notaio Francesco Basile, 1652) e la cappella ebbe tra i primi e longevi cappellani don Giovanni Tommaso di Pinto (notaio Leonardo Antonio de Mellis, 1693). Questi era in carica quando, il 14 ottobre 1704,  mastro Antonio Oliverio, commorante in Napoli da molti anni, figlio ed erede dei fu Alessandro Oliverio e Laura Sicuranza, in esecuzione del decreto della Regia Camera della Vicaria, dona ‘inter vivos’ al dottor Gaetano Panevino il giuspatronato (notaio L.A. de Mellis) della cappella della Beata Vergine del Carmine.Padre Giovanni Antonio Margiotta è cappellano della Cappella del Carmine nel 1708 (notaio Leonardo Pasca). Dieci anni dopo, nel 1719, il nuovo cappellano della cappella della Madonna del Carmine, di giuspatronato dell’U. J. D. Gaetano Panevino, è il figlio don Filippo Panevino, “Propositus Collegiate Insignis” (notaio Filippo Nocerito, 1719). L’anno successivo la scrittura è: cappella del Carmine (Santa Maria del Carmine), cappellanorev. dottor don Filippo Panevino (notaio Leonardo Pasca, 1720, 1721; notaio F. Nocerito, 1727), il quale diventa arciprete e “cappellano e compatrono della venerabile” Cappella del Carmine(notaio Gaetano Nocerito, 1743), dopo la morte del padre, che aveva intestato “un terreno metà di proprietà del detto don Filippo, metà appartenente alla cappella”. Morto l’arciprete don Filippo Panevino, presentazione e nomina dell’arcidiacono don Saverio Panevino a cappellano e rettore della cappella di Santa Maria del Carmine, nel 1753, da parte del fratello Francesco, entrambi figli di Gaetano Panevino (notaio G. Nocerito, Tursi). Poco tempo dopo, il 6 dicembre 1757 (notaio G. Nocerito), nuova presentazione della nomina a rettore e cappellano del beneficio di S. Silvestro, dentro la Cappella del Carmine, eretta nella chiesa di S. Anna extra moenia (di Tursi), “come da istrumento di fondazione rogato nell’anno 1620 a 14 novembre per mano del fu notar Giovanni Salvatore”, nella persona di don Francesco Toscano di Oriolo, vacante per la morte di don Saverio Panevino (ultimo cappellano, nominato dai fu Gaetano, Giovan Battista e padre Gian Lorenzo Panevino, fratelli), da parte del dottor Francesco Panevino di Tursi e di Gaetano Molfese di Santarcangelo (figlio di Arcangelo Molfese e Grazia Panevino); detto Francesco Panevino è compatrono del menzionato beneficio perché figlio ed erede del fu Gaetano Panevino, a sua volta figlio di Regina Coverta, figlia dell’arcidiacono Giambattista, figlio di Orazio Coverta, fratello quest’ultimo del canonico Giandomenico Coverta, fondatore della Cappellania S. Silvestro.

La cappella di S. Caterina

Della cappella di S. Caterina, di giuspatronato della famiglia Andreassi, è nota perfino l’origine. Il 21 febbraio del 1666, con atto del notaio Francesco Basile di Tursi, Padre Giulio Cesare Modarelli, preposito dell’Oratorio di S. Filippo Neri di Tursi, il dottor Giacchino Picolla e Francesco Antonio Panevino ricevono e accettano, in qualità di procuratori del dottor Francesco Antonio Andreassi, commorante in Napoli, le somme provenienti dai crediti istrumentari sull’Università di Bernalda e di Craco ed esatti da Vespasiano Fortunato, affinché con questo denaro possano provvedere ad erigere nella chiesa di S. Anna extra moenia una cappella sotto il titolo di S. Caterina e dell’Annunciazione della Beata Vergine e, con la restante parte, debbano istituire un conservatorio femminile adattando a tale scopo la casa palaziatain strata Santa Crucis’ dell’Andreassi, dopo aver ottenuto il beneplacito del vescovo di Anglona-Tursi, Francesco Antonio de Luca” (R. D’Angella). Nel 1690  e successivamente è cappellano il rev. don Domenico Taranto (notaio Leonardo Antonio de Mellis); dal 1706 gli succede padre Giovan Lorenzo Panevino (notaio L.A. de Mellis, 1706, 1710; notaio Leonardo Pasca, 1707).

Nel 1720, con atto del 7 ottobre (notaio L. Pasca) si ha notizia di un’altra cappella di S. Caterina, eretta dentro la chiesa parrocchiale di S. Michele Arcangelo, pure di giuspatronato della famiglia Andreassi, con lo stesso cappellano padre Giovan Lorenzo Panevino, dell’Oratorio di S. Filippo Neri; anni dopo gli succede come cappellano il rev. don Carlo Gagliardo della terra di Santo Chirico (notaio Leonardo Pasca, 1732; notaio Filippo Nocerito, 1734).

La cappella di Santa Maria le Grazie

Relativamente alla Cappella Santa Maria le Grazie, situata “all’interno della chiesa sant’Anna extra moenia di Tursi”, occorre evitare di confonderla con la omonima chiesa della famiglia Brancalasso, costruita nella seconda metà del XVII secolo. Padre Giovanni Guardia, dell’Oratorio di S. Filippo Neri, è stato il primo cappellano, della cappella di S. Maria Le Grazie, nel 1688(notaio Leonardo Antonio de Mellis). Molto tempo dopo, nel 1712 (notaio L.A. de Mellis), è cappellano il rev. canonico don Biagio Panevino, che durerà a lungo. Da un atto di due anni dopo (notaio L.A. de Mellis, 1714), si ha la conferma del giuspatronato della famiglia Andreassi e del cappellano, il rev. U. J. D. canonico don Biagio Panevino, poi riconfermato (notaio L.A. de Mellis, 1720; notaio Leonardo Pasca, 1723 e 1731-32; notaio Pietro Nucito seniore,1733). A distanza di tempo, nel 1734 (notaio L. Pasca), si rileva che padre Paolo Panevino, dell’Oratorio di S. Filippo Neri, è “messo et internuntio” del cappellano dottor canonico don Biagio Panevino, suo nipote, in carica anche nel 1751 (notaio L. Pasca).

La cappella di S. Gaetano e altre

Si ignora il giuspatronato della cappella di S. Gaetano, “eretta dentro la chiesa di S. Anna extra moenia di Tursi”, preesistente al 1711, quando era (notaio L.A. de Mellis, di Tursi) cappellano padre Giovan Lorenzo Panevino che, nel 1721 (L. Pasca e F. Nocerito, notai di Tursi), risulta far parte  anche dell’Oratorio di S. Filippo Neri di Tursi.

Sempre nella chiesa di S. Anna, sono più incerte le notizie su altre cappelle: della Beata Vergine; della SS. Trinità, dei Signori Donnaperna; e della Purificazione della Vergine, di Fulvia Rogerotto.

La campagna in contrada S. Anna

Per farsi un’idea delle condizioni del terreno circostante la chiesa di S. Anna, dopo la metà del 1600, assai utile è la lettura  del memoriale di famiglia Fedel memoria degli Uomini Illustri, Parenti, Stabili, Urbani e Rurali, Jus, Doti, Ragioni, Servitù, Prelazioni, Cappellanie, Benefici e sue Rendite, Notizie antiche appartenenti alla gentilizia famiglia BRANCALASSO, che ora si rappresenta dalli fratelli, Dottor Don Tommaso, Dottori Canonici della Cattedrale: Don Filippo, Abate Don Carlo e Don Nicolò Brancalasso, registrata nel 1744 (aggiornato al 1797), interpretato e trascritto lodevolmente dalla studiosa Ambra Piccirillo, depositaria del documento con il coniuge Ciriaco Sciarrillo Brancalassi, di Ancona. In una scheda del manoscritto si descrive la “Vigna detta Il Celrito nella Contrada di S. Anna”, in un’altra le “Sciolle di S. Anna”. Entrambi i testi ci tramandano alcune cose essenziali: “il detto Celrito sta lineato nella Platea del signor Duca di Tursi e sta confinato dalla parte d’oriente, orto, e cantina d’Andrea di Gregorio Guida, e cantina di Giuseppe Dafa, verso ponente strada, che andava alle cantine atterrate, ed orto di S. Anna, e verso Borea il canale”; il torrente (citato sempre senza nome) era alimentato di acqua corrile, ma secca sotto la città (perché) orientato dal muro a  monte; nel 1730  e nel 1742, le piogge abbondanti e durature hanno devastato l’intera zona, causando crolli importanti di case e grotte e distruggendola vigna con il pozzo: “La prima (sciolla) fu nell’anno 1732 nel giorno di San Silvestro e furono coverte da 30 cantine in circa, causando dalle continue pioggie, e tra le altre la nostra cantina nel Celrito vicina a man sinistra dell’ogliastro, e propriamente alla fine del fosso divisorio con Andrea Guida ed anche il pozzo, e per non farlo empiere di arena vi si posero tre ceppi di ogliastro e fu la perdita tra il pozzo di palmi 125, e cantina di ducati 30. L’altra alli 23 di marzo 1742 anche causata dalla pioggia, e cultura fatta dal Spezial Giannicola Calabrese e detta sciolla coprì la metà della vigna”. Due secoli addietro, evidentemente, il letto del torrente era un po’ più elevato, oltre che senza argini, e di fatto si estendeva in larghezza dalla cattedrale alla collina dietro la chiesa d. S. Anna. L’esondazione era quasi normale, per un torrente che portava acqua tutto l’anno e che nei periodi invernali andava guardato a vista (fino al Novecento e oltre è stato così), e un rigagnolo era sopravvissuto pure negli anni Sessanta. L’opera distruttiva, iniziata a monte, si è poi indirizzata sempre più verso il basso, fino a incrociare la stessa chiesa  e poi oltre, più giù, verso le recenti cantine (nei pressi del Ponte dei Petrilli).

Conclusioni

Si può adesso tentare una conclusione, piuttosto ragionevole. Giova ribadire che finora mancano del tutto notizie di cronaca o altre evidenze per quanto dubbie, insomma, nessuna traccia di eventi  traumatici o scandalosi oppure funesti, piccoli o grandi. In sintesi: la chiesa nasce verso il 1630; S. Anna è sicuramente Protettrice della Città di Tursi nel 1670; il luogo di culto fiorisce anche con diverse cappelle, almeno fino al 1765; ma Antonio Nigro (90 anni; 1764-1854) ci avvisa con un primo spunto critico, scrivendo che la chiesa “oggi è diruta”; invece, Vincenzo Cristiano (86, anni; 1865-1952), alla metà del XX secolo chiarisce che “Con Acciardi tu fosti rinomata, / ma venne l’erosione assidua e lenta; / però non se’ del tutto abbandonata”. Non si ha motivo di dubitare della bontà delle affermazioni dei due personaggi storici di primaria importanza intellettuale e culturale. Pure, sarebbe ingeneroso pensare che  mons. Gennaro Acciardi (74 anni, 1809-1883) non abbia agito per il ripristino dell’edificio, ritengo tra il 1867 e 1883, diversamente Cristiano non avrebbe potuto mai decantarne i ritrovati fasti. Altrettanto difficile sarebbe escludere l’opera corrosiva e devastatrice del torrente Pescogrosso, continuata già dalla seconda metà del ’700, lentamente e improvvisamente. E in questo quadro idrogeologico naturale si è consumata la solidità dell’edificio, la fiducia dei fedeli e la rinuncia a nuovi interventi riparatori. Entrambe le fonti dicono una loro verità datata, che non è contraddittoria, perché ci sono accadimenti ulteriori nel mezzo e successivamente, pur sempre in una direzione cronologica inesorabile, così riassumibile: chiesa edificata, poi diruta, quindi ristrutturata, in seguito decadente e infine abbandonata. Dal secondo dopoguerra in poi, di S. Anna si può raccontare la cronaca, ma la storia è altrove.

Salvatore Verde ©


[1] Bruno Rocco, Storia di Tursi, III Edizione Aggiornata a cura di Gaetano Bruno, Valentina Porfidio Editore, Moliterno, PZ, 2016.

[2] Nigro Antonio, Memoria Topografica Istorica Sulla Città di Tursi E Sull’Antica Pandosia di Eraclea Oggi Anglona, Tipografia di Raffaele Miranda, Napoli, 1851; II Edizione ArchiviA, Rotondella (Matera), 2009.

[3] Vincenzo Rocco Lazzaro Cristiano, così all’anagrafe,è autore di due libri, Foglie secche e note gaie (1951) e Poesie (1952), nei quali egli stesso raccoglie e ordina ma non in ordine cronologico tutte le sue liriche; entrambi i testi sono stati pubblicati a sue spese, il primo dalla Tipografia degli Orfanelli del convento di San Rocco di Tursi e il secondo da Liantonio di Matera (i due libri sono stati rieditati, meritoriamente, da Archivia di Rotondella, uno nel 2006 e l’altro nel 2015).

[4] D’Angella Rosanna, Ricerca genealogica della famiglia Panevino per John Giorno, 1550-1936,  documentazione inedita e in attesa di pubblicazione.

Testo aggiornato al 17 maggio 2021.

Resti della ex chiesa di S. Anna (foto di Donato Fusco, gennaio 2021)

Lascia un commento