Cinghiali nei boschi dei Brancalasso, tra Tursi e Policoro, in località Anglona-Panarace-Panevino, nei secoli XVII-XVIII

Storia di Tursi
Stemma della Famiglia Brancalasso

TURSI – Territori tursitani frequentati da una moltitudine di cinghiali, non soltanto in aree densamente boschive ma anche in prossimità di caseggiati, con dentro le tane, e un cacciatore ospite perfino del nord Europa. Se qualcuno intende riferirsi all’attualità, deve rivedere la questione proprio dal punto di vista storico. Si tratta, fino a oggi, della più antica citazione locale del cinghiale in testi ufficiali, non finalizzati alla descrizione dell’attività venatoria. Le notizie, infatti, sono contenute nel manoscritto originale “Fedel memoria degli Uomini Illustri, Parenti, Stabili, Urbani e Rurali, Jus, Doti, Ragioni, Servitù, Prelazioni, Cappellanie, Benefici e sue Rendite, Notizie antiche appartenenti alla gentilizia famiglia Brancalasso, che ora si rappresenta dalli fratelli, Dottor Don Tommaso, Dottori Canonici della Cattedrale: Don Filippo, Abate Don Carlo e Don Nicolò Brancalasso, registrata nel 1744”.

Tale documento è di proprietà dei coniugi anconetani Ciriaco Sciarrillo Branclassi e Ambra Piccirillo, che ha integralmente e magnificamente trascritto le 170 pagine, dopo alcuni anni di assiduo impegno. I Brancalasso erano, appunto, i loro nobili, potenti e grandi antenati filo spagnoli, come i Doria di Genova, duchi di Tursi, e i Donnaperna. Il racconto della dinastia, con molti, puntuali e particolari genealogici, costituisce una miniera di notizie, eventi, nomi e date (con gli aggiornamenti operati dagli stessi quattro fratelli dal 1443 al 1797). Considerato evidentemente (anche) allora un fenomeno straripante, tanto da meritare più volte l’annotazione, e siamo almeno alla fine del XVII sec., la descrizione della presenza dei cinghiali è riferita alle località tra Tursi, Anglona, Policoro, ovvero, con precisione nella “Masseria di Basso, detta anche Masseria Fiorenza, sita nel Feudo di Anglona, colli casaleni, più case dirute nel vallone di Cercapane, nel petto di Pollicoro, nella contrada e fontana del Piano di Mezo, a Panevino, nella Massaria di Basso, detta Panarace”.

Tutte zone ad altissima densità boschiva (Panarace era boscoso, e spineto i cui se tal’uno non era pratico vi si perdeva), destinatarie di massicci interventi di disboscamento per recuperare terreno seminativo alla coltura del grano, ma anche, e non sembri una stranezza, per meglio delineare i confini delle proprietà, “ne’ comprensorii quali erano tutti boscosi, e la misura si facea ad occhio, per che in nessuna fatta maniera poteva entrar il compasso”, essendo quindi una questione dibattuta, complessa e foriera di longevi litigi, anche violenti e tragici. In particolare “la Massaria di Basso, si cominciò a sboscarsi dal Don Pomponio Brancalassi dall’anno 1708, e primieramente li casaleni erano alti, e dentro vi erano le tane de’cinghiali, ed altre fiere selvaggie, e così abbassate le muraglie, fece tutte, e le stanze, e suppiano nuovo per commodo de’ foragi, e di buoi, come al presente appariscono, fece il Pozzo, e Pilaccio da tirar aqua a manoIn ogn’anno si continuava lo sboscamento, e già molti terreni delle manche furon ridate a cultura, passato poi il Don Pomponio all’altra vita, l’Arciprete Dottor Don Gio: Andrea diede fine, e ridusse tutte le manche, e matine a cultura, ed altresì terminati i confini, come appariranno”.

Notevole, poi, la descrizione di una scena di caccia, collocata a Panarace. Questi era “il più ampio e Signoril comprensorio, che possiede la Famiglia Rappresentante (Brancalasso, N.d’A.) ed è compreso nella Massaria di Basso, detta Panarace, perchè è fertile, e ferace di pane per il frumento, che vi si semina, o pure, perchè nelle manche verso il fiume Agri vi era, e vi è una fontana, che chiamasi Panarace: nell’anno 1715 era tutto boscoso, e spineto i cui se tal’uno non era pratico vi si perdeva, e ripieno di cinghiali , ad altri animali selvaggi, anche in tempo di nostra memoria, e nell’anno 1730 il Duca di Belgio con cacciatori tirò ad un cinghiale, bestia così grossa, che dava spavento a spettatori, ma non lo colpì, ed di continuo stava in una tana che al romor de’ bacchettieri, e schioppettate non mai si partiva: e le vacche, e i bovi da per loro stessi entravano ed uscivano”. Notare la finezza della scrittura, avendo gli autori omesso il nome del nobile Belga (non ancora stato indipendente, fino al 1831), chiaramente ospite dei Brancalasso, avendo costui fallito il colpo, in presenza di altri! Insomma, Tursi è sempre stato zona di caccia, com’è ampiamente noto, un tempo frequentato dall’orso bruno e da altri animali selvaggi, compreso il mitologico cinghiale, oltre che da generazioni di cacciatori, fino ai nostri giorni.

Salvatore Verde

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