GIULIO ANTONIO BRANCALASSO (1560? – 1613 CIRCA), STUDIOSO DI FILOSOFIA POLITICA, IL PIÙ GRANDE DELLA FAMIGLIA E CITTADINO ILLUSTRE DI TURSI

Storia di Tursi
Stemma della famiglia sul portone del palazzo Brancalasso a Tursi

GIULIO ANTONIO BRANCALASSO: RICOSTRUZIONE DEL PROFILO CULTURALE E POLITICO DELLO SCRITTORE DI TURSI di Ambra Piccirillo Brancalassi

La storia della cultura civile e politica del meridione d’Italia in epoca compresa fra la fine del XVI e l’inizio del VII secolo è ricca di una produzione di trattatistica e di libellistica politica e giurisprudenziale, di opere letterarie, di scritture teologico-religiose che merita tutt’oggi un ulteriore intervento di recupero e approfondimento conoscitivo.

Sebbene vi sia stata una grande attenzione ai secoli della dominazione spagnola in Italia, il periodo della Controriforma è scarsamente considerato se non in termini di oscurantismo religioso e di repressione politica, il cui simbolo più noto ed efficace e rappresentato dalla Santa Inquisizione. È però estremamente significativo che l’Italia ed in particolare i territori meridionali dominati dagli spagnoli si configuravano come un interessante laboratorio di scritture politiche e pratiche di governo. (Non è un caso che gli ultimi studi abbiano accertato una profonda e fruttuosa compenetrazione fra i circoli culturali del sud Italia e quelli spagnoli). Da Macchiavelli a Guicciardini, agli scrittori della Ragion di Stato, l’intera penisola e promotrice di una riflessione politica di altissimo livello ed il contributo degli scrittori meridionali è indubbio in tal senso. Superfluo ricordare la riflessione di Tommaso Campanella, Giordano Bruno, Torquato Accetto, Fabio Frezza, Ottavio Sammarco, Antonio Serra, Giulio Cesare Capaccio ed altri ancora che, nonostante la riconosciuta autorità attribuitagli dai loro contemporanei, attualmente non godono, se non i più famosi, di una limitata popolarità.

Sebbene sia stato determinante il ben noto giudizio crociano sulla totale mancanza di “spirito nazionale” da parte delle classi dirigenti ed intellettuali meridionali dell’epoca, che ha causato, secondo il filosofo liberale, quella difficile condizione in cui versa attualmente il Mezzogiorno – stigma che ha segnato per tutto il XX secolo gli studi storici e le ipotesi interpretative su quella fase storica -, la  vivacità e la profondità del dibattito è fortemente percepibile in questi autori, molto spesso legato ad eventi di portata storica: la battaglia di Lepanto del 1571, la rivolta di Masaniello del biennio 1647-1648, ecc., solo per citarne alcuni.

L’effetto di quel severo giudizio ha avuto, come si diceva, una ricaduta negativa in termini di ricerca storica e politologica per quell’insieme di scrittori considerati “minori” che sono così scomparsi nell’oblio. Un caso emblematico è rappresentato dalla figura di Giulio Antono Brancalasso, originario di Tursi (MT), cittadina lucana, autore molto più noto in Spagna, dove ha lavorato presso la corte di Madrid, che in terra natia.

Nella biografia dello scrittore, ancora oggi da ricostruire nei suoi passaggi più determinanti, nonostante l’attenzione dedicatagli da uno degli studiosi più importanti del pensiero politico italiano della seconda metà del Novecento Luigi Firpo, è possibile leggere il percorso di un’intera classe intellettuale dell’epoca. La vita dello scrittore attraversa nel tempo, il periodo fra la seconda metà del secolo XVI secolo e gli inizi del secolo successivo, cruciale per la nascita e gli sviluppi dello stato moderno; nello spazio, l’Europa geografica e politica con decisive attenzioni all’identità continentale ed al confronto culturale e politico con gli spazi non europei.

Imprecisa la data di nascita dello scrittore, si colloca sicuramente dopo il 1560. Intraprende gli studi giuridici a Napoli soggiornando presso il convento dei Girolimini. Diviene, prima prete secolare e successivamente sacerdote a Tursi. Presumibilmente nell’ultimo decennio del XVI secolo segue in Spagna un importante prelato della Curia romana. Stabilitosi presso la corte di Filippo II (re di Sapagna 1556/1598) e poi Filippo III (re di Spagna 1598/1621),diverrà consigliere di corte ricoprendo diversi ruoli, occupandosi anche della riorganizzazione urbanistica della città di Madrid e di questo soggiorno tuttora ricordato in una ricerca eseguita dall’Assessorato alla Cultura del Comune  di qualche anno fa sono rimaste testimonianze.

Durante il viaggio di ritorno dalla Spagna a Napoli nei primi anni del XVII secolo si fermerà presso la corte Sabauda divenendo precettore di Carlo Emanuele di Savoia, Rientrerà a Napoli dove darà alle stampe la sua opera nel 1609, li morirà lasciando una cospicua eredità al Convento dei Girolimini, la data non è nota.

Il ritrovamento di importanti documenti ed opere nelle biblioteche napoletane (la Philosophia Regia è tuttora presente in moltissime biblioteche italiane), induce ad un necessario aggiornamento bibliografico e ad una riconsiderazione scientifica dell’intera attività intellettuale di Anton Giulio Brancalasso per restituire allo scrittore la giusta collocazione nell’ambito della riflessione filosofica e politica italiana ed europea. Per tale motivo è utile riflettere sui legami dello scrittore con la sua patria e sul contributo che sul piano internazionale, prima alla corte di Filippo II e Filippo III, poi con la casa Savoia, egli ha saputo esprimere in termini di innovazione del progetto culturale e politico di governo di parte cattolica e filospagnola.

L’espressione più evidente di questa istanza sistematica di ripensamento della cultura civile e politica dell’epoca è rintracciabile nel grande progetto editoriale rappresentato dall’opera principale dell’autore: Philosophia regia. Medulla Politicorum, Compendium Artis Catholice Regnandi.

È chiaro sin dal titolo della sua opera l’intento compilatorio dell’intero progetto editoriale: recuperare dagli antichi autori, dalle Sacre Scritture e da tutta la letteratura politica, la medulla politicorum (il midollo della politica). Identica chiarezza è espressa sulle finalità dello scritto: implementare una dottrina politica di parte cattolica per i principi cristiani.

L’immenso piano dell’opera (presente a Napoli oltre che alla Biblioteca Nazionale, alla Brancaccio) è annunciato dall’autore nella Admonitio ad pios lectores, premessa al testo suddiviso in cinque tomi per un complessivo numero di ventiquattro libri.

Il primo tomo intitolato Anima Reipublicae, composto da sette libri, di carattere prevalentemente filosofico ha avuto una straordinaria diffusione.

Il secondo tomo intitolato Corpus Reipublicae, composto da tre libri, avrebbe dovuto trattare di materie economiche, ma non ha mai visto la luce o non è stato ancora ritrovato.

Il terzo tomo, intitolato Ars Catholice Regnandi, in dieci libri, è di natura prevalentemente politica e si confronta, in modo particolare con gli scritti ed il pensiero del Macchiavelli; non ancora edito è però rintracciabile in forma manoscritta.

Il quarto tomo intitolato Labirinto de Corte con los diez predicamentos, in tre libri, dei quali solo i primi due pervenutici, tratta delle funzioni del ministro e dei consiglieri del re, in linea con la tradizione degli scritti sul “Cortegiano” di Baldassarre Castiglione. Il testo, scritto in castigliano, ha avuto una straordinaria diffusione in Spagna rendendo talmente noto l’autore, da farlo considerare parte integrante della letteratura politica iberica.

Il quinto tomo intitolato Pax Principum Christianorum, composto da un solo libro è andato perduto, ma è stato ritrovato un manoscritto in italiano presso la Biblioteca Vaticana che potrebbe rappresentare il progetto di lavoro e la prima stesura di quello che poi sarebbe stato lo scritto in latino.

Il ritrovamento di vari manoscritti dell’autore, tra cui le varie parti della sua grande opera, insieme ad alcuni testi di diversa natura non iscritti nel suo grande progetto della Philosophia Regia, invita a riaprire una riflessione sull’importanza di queste redazioni in particolare, sulla loro circolazione manoscritta, e sul legame fra la sua produzione scientifica e le tradizioni culturali politico filosofiche dell’epoca.

È d’uopo menzionare un’opera meno conosciuta, ma non per questo di minore importanza ed interesse, dal titolo De abscondito magno, nel quale traspare, evidente, la capacità dell’autore di muoversi fra tematiche apparentemente diverse fra loro, tentando di dare delle risposte ai grandi quesiti dell’uomo. In particolare, mediante l’osservazione dei tempi storici, degli eventi e dei grandi mutamenti conoscitivi dell’epoca ed analizzando le profezie del nuovo e del vecchio testamento, le configurazioni planetarie, le storie sacre e profane, i dati scientifici, Brancalasso delinea un suggestivo percorso di collegamento fra il passato ed il futuro.

Ambra Piccirillo Brancalassi

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GIULIO ANTONIO BRANCALASSO (1560? – 1613 CIRCA), STUDIOSO DI FILOSOFIA POLITICA, IL PIÙ GRANDE DELLA FAMIGLIA E CITTADINO ILLUSTRE DI TURSI di Salvatore Verde

    Nel ristrettissimo numero dei tursitani illustri di sempre, spicca l’inserimento di Giulio Antonio Brancalasso nei siti web importanti e soprattutto nel titanico Dizionario Biografico degli Italiani dell’Istituto dell’Enciclopedia italiana Treccani (DBI). Il dizionario è un’opera collettiva (dal 1960, ha pubblicato 96/100 volumi, per arrivare a un totale finale di 40.000 profili) e rappresenta quasi unabiografia collettiva degli italiani che hanno contribuito alla storia artistica e politica, scientifica, religiosa, letteraria ed economica dalla caduta dell’impero romano d’occidente ad oggi. I cinque nomi di tursitani (una sola donna, di origine, e un acquisito, suo marito), tutti ovviamente deceduti e anche quasi del tutto sconosciuti, tranne un paio, nell’amato paese, sono: (in ordine di pubblicazione) Giulio Antonio Brancalasso, 1971; Andrea Ferrara, 1996; Pasquale Stanislao Mancini, 2007; Laura Beatrice Oliva, 2013; Albino Pierro, 2015. 

     Paradigmatiche, per molti aspetti delle umane vicende, sono la vita e l’opera del dottore Don Giulio Antonio Brancalasso, studioso di filosofia e scrittore politico dell’era della Controriforma, prete secolare, praticamente ignorato a Tursi e anche fuori, ma noto a una ristretta cerchia di appassionati, cultori e accademici, già dal XVII. Egli è stato il primo tursitano a essere incluso nel DBI-Treccani (Volume 13). La voce, corredata da una sostanziosa bibliografia, è stata scritta dall’autorevolissimo Luigi Firpo (Torino, 04 gennaio 1915 – 02 marzo 1989), storico e politico del Partito Repubblicano Italiano (PRI), docente di Storia delle dottrine politiche nell’Università di Torino e tra i maggiori studiosi del periodo tra Rinascimento e Controriforma. La sua scheda è davvero notevole, articolata e particolareggiata per quanto concerne lo scandaglio dell’opera filosofica e letteraria, così come concepita, realizzata e pubblicata, con i rimandi puntuali alle fonti di ispirazione e ai materiali utilizzati, con i precisi riferimenti; inoltre, non mancano neppure alcune annotazioni biografiche inedite, dopo aver chiarito definitivamente sia l’identità che la provenienza del Brancalasso, tutt’altro che scontate anche mezzo secolo addietro. E questo resta tra i meriti indiscussi di Firpo, tanto più che lo studioso torinese, lo si deduce, non ha potuto consultare il manoscritto reperito successivamente, ovvero: Fedel memoria degli Uomini Illustri, Parenti, Stabili, Urbani e Rurali, Jus, Doti, Ragioni, Servitù, Prelazioni, Cappellanie, Benefici e sue Rendite, Notizie antiche appartenenti alla gentilizia famiglia BRANCALASSO, che ora si rappresenta dalli fratelli, Dottor Don Tommaso, Dottori Canonici della Cattedrale: Don Filippo, Abate Don Carlo e Don Nicolò Brancalasso, registrata nel 1744. Si tratta del documento di 170 pagine, da poco disponibile nella lodevole trascrizione, durata anni, di Ambra Piccirillo, moglie di Ciriaco Sciarrillo Brancalassi, custodi del manoscritto e tra i discendenti della nobile, antica e potente famiglia Brancalasso, la quale conta comunque altri eredi a Tursi.

     Entrambe le fonti disponibili iniziano dal frontespizio del libro al quale è legata la fama del Brancalasso, ovvero: Philosophia Regia medulla politicorum, compendium artis catholice regnandi ex biblis saevis nature principis Christianis et gentium historis deprompta, decem libris distincta, et in duos tomos, latinum unum, hispanum alterum digesta. Authore Dottore Yulio Antonio Brancalasso, Presbitero Lucano Tursiense-Tomus unus inscriptus-Anima Reipublice-Napoli 1609. Questo primo tomo dedicato all’Anima reipublicae, fu seguito, nello stesso anno, da un’altra sezione dell’opera, Labirinto de corte, con los diez predicamentos de cortesanos, in spagnolo. Le due pubblicazioni erano state precedute l’anno prima dal “trattatello” De abscondito magno Christianorum principe, christo Domini, sancto orbis rectore, “si tratta di uno scritto di profezia politica, intinto di spunti chiliastici e adulatorio nei confronti dei principi sabaudi (la dedica ai principi è del 27 genn. 1608)”, conservato in “un altro codice della Biblioteca Nazionale di Napoli (IX. B. 29. Dopo il 1609 si perde ogni traccia dell’autore” (Firpo). Tra copertine, frontespizi e dediche si ricavano alcune notizie davvero imprescindibili. Da “presbytero Lucano Tursiensi” a “sacerdote natural de la ciudad de Tursi”, si ha la conferma, dunque, che fosse “prete secolare, nato in Lucania nella cittadina di Tursi, non molto dopo il 1560 se nella dedica della Philosophia (ai giovinetti principi di Savoia, figliuoli di Carlo Emanuele I) sottolinea il carattere compilatorio del proprio lavoro, confessando che per quasi trent’anni ha raccolto “appunti con velocissima penna”. Firpo aggiunge che Giulio Antonio studiò a Tricarico (Matera), dove è sepolto il martire lucano San Potito e dove apprese la grammatica dal precettore Filippo Stella; più tardi visse a Napoli, “dove predicò alle monache del convento dedicato al medesimo santo e dove probabilmente si guadagnò quel titolo di dottore in utroque, che ostenta in fronte ai propri scritti” (Firpo).

<<Fin dall’adolescenza fu attratto dalle letture politiche, ma gli toccò vivere a lungo in luoghi rustici e solitari, con cibo e veste dimessi, avendo a disposizione piuttosto libri sacri che di scienza civile; non gli mancò tuttavia occasione di frequentare le corti e di sondare l’animo dei principi nel corso di negozi interessanti la Curia romana; può vantare così larghe letture, esperienze annose, colloqui con eminenti politici cattolici, conoscenza del mondo attraverso viaggi non brevi. Il fatto stesso che scriva un intero volume in castigliano, mostra che apprese quella lingua nel corso di un prolungato soggiorno in Spagna, dove afferma infatti di essere stato “per due volte, alla corte del Re Cattolico, per spazio di molti anni, al tempo dei re Filippo II e III”; il ricordo diretto di un incontro fra il primo dei due sovrani e il nunzio Camillo Caetani, patriarca di Alessandria, che resse l’ufficio a Madrid dal febbraio 1593 ai primi del 1600, lascia supporre che il Brancalasso si trovasse al seguito di quel prelato, che dovette certo avvalersi della collaborazione di uomini di legge nel corso delle gravi controversie giurisdizionali affrontate durante la sua missione. In segno di apprezzamento per le sue qualità e pei servigi resi, Clemente VIII il 30 sett. 1602 autorizzò il B. alla predicazione. Quanto al secondo soggiorno spagnolo, esso dovette coincidere con la presenza in Spagna dei tre maggiori figli del duca di Savoia: Filippo Emanuele, Vittorio Amedeo ed Emanuele Filiberto, i quali furono ospiti di Filippo III, loro zio materno, dall’aprile 1603 al luglio 1606 (il 9 febbr. 1605 il primogenito morì di vaiolo a Valladolid). Si spiega così la dedica della Philosophia a Carlo Emanuele I, l’epistola noncupatoria ai principi sabaudi (Napoli, 29 giugno 1608) e l’ampia lettera proemialis del 30 luglio agli stessi principi, traboccante di profferte di devozione, dalla quale si apprende che fin dal 29 aprile il duca aveva manifestato il suo gradimento per la dedica e che l’intermediario fra l’autore in cerca di patrocinio e i giovinetti sabaudi era stato Melchiorre Reviglione, amministratore dei beni lasciati dalla loro madre Caterina.

L’opera del B. è essenzialmente compilatoria, frutto di vaste e attente letture di molti scrittori antichi e recenti, dei quali viene fornito ampio catalogo; nell’epistola proemiale l’autore non esita a confessare di avere estratto il “midollo” da tutti i libri ortodossi di politica sui quali ha potuto metter mano, sia pure “impinguando” quegli estratti con aggiunte di proprio conio. In effetti l’opera si presenta come una raccolta vastissima di sentenze e di esempi, nella quale va tuttavia sottolineata l’ampiezza del disegno incompiuto e lo sforzo di ridurre a unità sistematica l’intero universo della politica. Tra le utilizzazioni di scritti altrui merita speciale menzione quella – disinvolta fino al plagio – degli Aforismi politici di Tommaso Campanella, composti intorno al 1601 e almeno dal 1606 largamente diffusi in copie manoscritte; il B. li cita col nudo titolo nel suo elenco di opere utilizzate, ma ne tace l’autore, forse perché l’esemplare venutogli sott’occhio era anonimo, o più semplicemente perché era pericoloso citare in Napoli uno scrittore allora detenuto in Castel dell’Ovo, sotto imputazione di lesa maestà e di eresia. Il De Mattei, che per primo ha attirato l’attenzione su questa presenza di materiali campanelliani nella Philosophia regia, ha istituito laboriosi raffronti fra il testo del B. e quello delle tarde versioni latine via via ampliate degli Aforismi del Campanella, senza percepire che un espilatore tanto disinvolto, qualora avesse avuto a disposizione un testo latino, lo avrebbe utilizzato tal quale, senza rielaborarlo sistematicamente sul mero piano letterario. Basta invece istituire il raffronto corretto fra il testo del B. e quello degli Aforismi, per rendersi conto che il B. tradusse in latino, con pedissequa fedeltà, il testo italiano del Campanella, procurandone così nel 1609 una vera e propria editio princeps contraffatta. Se possedessimo il testo della Pax principum Christianorum vi riconosceremmo quasi certamente l’influsso diretto di altri scritti campanelliani diffusi in quegli anni in copie a penna e in particolare dei Discorsi ai principi d’Italia. (Firpo)>>

Dal manoscritto dei quattro fratelli Brancalasso, un dottore in Legge e tre canonici, ricaviamo ulteriori notizie della vita, com’era facilmente intuibile, eccezionalmente avventurosa e non senza ostacoli del grande Don Giulio Brancalassi, dottore, figlio di Gio: Brancalassi e Leonarda di Leo e zio di Don Camillo Brancalassi. Ma il testo ci dice molto dello stato dei rapporti con il vescovo di Anglona e Tursi e indirettamente con le altre famiglie importanti, gentilizie, ricche e nobili di Tursi, e finanche sulle possibili origini dell’appartenenza di alcuni esponenti della famiglia a un ordine cavalleresco (Templare e/o San Lazzaro?).  

Quindi per più tempi fatta dimora in Napoli, e mosso dalle scienze nelle quali veniva altamente decorato e dalla nobiltà del sangue, volse andare nelle Spagne, e portatosi nella corte di Filippo IV da cui per la sua dottrina e bontà di vita fu civilmente accolto e dalla munificenza di tale Monarca fu insignito dell’onore di essere segretario nella lingua d’Italia ed indi passò per l’istesso decoro dal Gran Duca di Savoia a cui dedicò la sua Filosofia Reggia scritta in latino e espagnolo divisa in due tomi in un corpo. Il di cui libro è pieno d’erudizione, d’insegnamenti christiani di reggimento a Principi ed altro tanto in tempo di guerra, che di pace anche per il reggimento della vita spirituale, ed altresi in lingua spagnola fa un compendio della sua vita, e leggiendosi s’approfittarebbe nel buon governo, og’nuno restarebbe soprafatto dalla dottrina, dallo stile, invenzioni e fu stampato in Napoli nell’anno 1609 nello studio nostro se ne trovano due corpi, un altro nello studio del Dottor Francesco Panevino. Il frontespizio di tal libro è del tenor seguente: Philosophia Regia medulla politicorum, compendium artis catholice regnandi ex biblis saevis nature principis Christianis et gentium historis deprompta, decem libris distincta, et in duos tomos, latinum unum, hispanum alterum digesta. Authore Dottore Yulio Antonio Brancalasso, Presbitero Lucano Tursiense-Tomus unus inscriptus-Anima Reipublice-Napoli 1609. 

<<Fatto ritorno dalle regali persone di Spagna, e di Savoia in Napoli, volse essere arruolato nella Congregrazione dei Geloromini di S. Filippo Neri in Napoli, ove da quei Padri fu con sommo piacere accolto sia per la buona fama, virtù e dottrina come altresi per il Patrocinio portato da colà al viceré allora regnante, ove visse più anni e si fè venire dal convento di questi cappuccini tutta la sua libreria e si trasportò in detta Congregazione di Napoli, com’apparisce da una ricevuta nel margine del riferito istromento  di Deti che si conserva, come si è detto, nella scheda del Notaio Pietro Nocito; qual studio l’applicò alla detta Congregazione, ove con vita esemplare e memorabile morì. La di cui memoria sta registrata appo le memorie di detti Padri. Volse la sorte che  il fu Padre Andrea Picolla di questa Congregazione, celebre per la dottrina e qualità di costumi, portatosi in Napoli, e secondo il di loro proprio costume andava  di continuo nella congregazione di S. Filippo, e celebrando, e tra li altri discorsi quei buoni padri fecero memoria del Dottor Don Giulio e del suo studio ad essi lasciato, onde il Padre Andrea, che ne avea più distinta la memoria come cugino e per la multiplicità delle lettere mandate al suo avo, e da Roma e da Napoli,   quali si conservano nella casa della sua famiglia Picolla, al qual discorso i detti padri li diedero per beneficio di questa Congregazione molti e varii libri dei Santi Padri ed oggi si veggono nella nuova libraria della medesima, intitolati del nome dell’illustrissimo Dottor Don  Giulio per la protezione portata dalle Spagne in Napoli fe promuovere un suo nipote nell’udienza di Salerno d’Auditor Fiscale che si chiamava Don Gio: Francesco Brancalasso, e questo si ave per tradizione fin alla prossima morte d’Ippolita Bitonte, che mori di sua età anni 96 e non vi ha minimo dubbio.

Nel libro del medesimo stampate si veggono le arme di Spagna, quella di questa città e quelle della propria Famiglia inventate da se come al presente si vede nel suggello, argenti ed anelli, portoni ed in altri ornamenti di casa; ma curioso il suo nipote allora giovane il Don Camillo scrisse al detto suo zio che si fosse compiaciuto a significare li geroglifici di detta impresa veggendola tutta intricata, che realmente anche dalla presente famiglia e da tutti si ammira la diversità di detti geroglifici e così li scrisse una lettera per saperne il significato ma il Dottor Don Giulio, che come savio nelle scritture propriamente la inventò e ne fè la risposta, che originale si conserva

… Quindi se non possano le tradizioni vere, e fideli a far conoscere in qual grado di merito, di perfezione e di dottrina sia giunto il sempre memorabile Dottor Don Giulio, parleranno in perpetuo le sue opere stampate piene di erudizione, politica, e santità e così ognuno che rappresenterà la Famiglia si conservino tutte le obbligazioni, e per memoria del medesimo sta il suo ritratto col libro nelle mani, appeso nella sala al primo luogho e per onore della Famiglia. Il di lui Privilegio di Dottore è dell’una e dell’altra legge nell’anno 1598 dell’ottava Indizione a 12 di marzo sotto il pontificato di Clemente ottavo, e si laureò in Roma, come si vede tutto miniato d’oro dentro le rame, e si conserva in casa del Dottor Marcello Ginnari e Sig.ra Elionora Brancalassi, figlia ed erede del Dotto Francesco Antonio Brancalasso. Il detto morì nel noviziato dei padri Gelorimini, fè il suo testamento per mezzo di una monica, inviò una cassa di libri a questo Oratorio. Il testamento, le scritture si conservano nell’oratorio di San Filippo hivi da me osservate in un fascicolo e spero di farne le copie. Lasciò eredi li Padri dell’Oratorio di Napoli in 1500 ducati di capitale sopra alcune case in Pizfalcone, altro capitale sopra la città di Matera, tutti li libri, e mobili e solamente invia alla sua madre Leonarda di Leo li suoi libri stampati, come questo, ed altro apparisce dal testamento fatto a  8 di maggio 1613, letto da me e si conserva in questo oratorio di Tursi (dal manoscritto dei fratelli Brancalasso).>>

Da parte di Firpo l’inedita e dettagliatissima presentazione dell’opera ardimentosa di Brancalasso, che nella premessa (Admonitio ad pios lectores) alla sua Philosophia tratteggia la vastità dell’imponente sviluppo prefissato. Si tratta di un’ampia rassegna “di tutta la materia politica divisa in cinque tomi per un totale di ben ventiquattro libri; ma, conscio della brevità della vita e forse perché sprovvisto di mezzi e di appoggi, ha deciso di pubblicarne dieci soltanto, vale a dire gli otto accolti nella Philosophia e i due del Labirinto”.

<<L’opera compiuta avrebbe dovuto assumere la struttura seguente: anzitutto una prima parte, di contenuto prevalentemente filosofico, intitolata Anima reipublicae e divisa in sette libri (1, Naturalis politica universalis, sive lapis politicorum; 2, Idealis politica universalis; 3, Rationalis politica universalis; 4, Religio; 5, Iustitia; 6, Praemium; 7, Passio Domini Nostri Iesu Christi)”. Forse a titolo di saggio, il B. cominciò col pubblicare i primi tre di detti libri sotto il titolo di De tribus universalis politicis,sive de locis topicis politicorum omnium,libri tres (Napoli 1609), ma subito dopo vi unì anche i quattro rimanenti, completando l’Anima reipublicae, e concluse il volume con un ottavo libro (Compendium artis rhetoricae), che nell’economia generale dell’opera avrebbe dovuto trovar luogo nella terza parte come libro diciottesimo dell’insieme. Questi otto libri – sette organici, uno isolato dal suo contesto – costituiscono il tomo della Philosophia regia (Napoli 1609); quanto ai titoli meno trasparenti, va detto che il sesto libro (Proaemium) tratta degli incentivi e delle ricompense; il settimo, della passione di Cristo, ha frontespizio autonomo, quasi a sottolinearne il carattere di opuscolo divozionale inzeppato abusivamente in una trattazione politica (ma l’autore spiega che la contemplazione continua delle sofferenze e del sacrificio di Cristo è la migliore guida per il buon monarca); infine il trattatello di retorica, dotato anch’esso di frontespizio autonomo, viene giustificato con ovvie riflessioni sull’importanza della persuasione nella vita politica.

La seconda parte, intitolata Corpus reipublicae, avrebbe dovuto trattare le materie economiche. Non ne resta traccia né manoscritta né a stampa, e non si sa neppure se mai sia stata posta in carta. Avrebbe dovuto constare di tre libri (8, De agricoltura,armentaria,mercatura,militia; 9, De artificibus,operariis,consiliariis,magistratibus; 10, De amore principis erga subditos et de amore subditorum erga principem; de uniformitate morum,libertate naturali,pace,auctoritate principis,abundantia).

La terza parte, o Ars catholice regnandi, affronta in dieci libri il problema machiavelliano dell’acquisto, ampliamento e conservazione del dominio e illustra in genere la condotta politica pratica. Già s’è detto che l’ottavo tra questi libri fu pubblicato in calce alla Philosophia regia; tutti e dieci sono però superstiti in un codice napoletano (Bibl. Naz., cod. I. D. 74). Eccone i titoli: 11, De adeptione novi principatus; 12, De ampliatione adepti principatus; 13, De conservatione adepti ampliatique principatus; 14, De declinatione principatus; 15, De amissione principatus; 16, De educatione corporis principis catholici; 17, De instructione animi principis Christiani ac iuste et prudenter regnare volentis; 18, Compendium artis rethoricae; 19, De tyrannide; 20, De perduellione.

La quarta parte, dettata in spagnolo, doveva costituire il Labyrinthus aulae, trattando i problemi connessi alla funzione del ministro favorito e alla vita di corte in genere. Doveva comporsi di tre libri, due dei quali vennero dati alle stampe, mentre del terzo si ignora la sorte (21, Labirinto de corte; 22, Los diez predicamentos de la corte y conservaçión de privança; 23, Defensión de privados o Apologia aulichorum). L’edizione del Labirinto, venuta in luce a Napoli pochi mesi dopo la Philosophia e dagli stessi torchi, reca un’ampia dedicatoria encomiastica (25 sett. 1609) a Gian Luigi Mormile, membro del Consiglio reale e presidente della regia Camera della sommaria, di cui il B. illustra la genealogia.

La quinta ed ultima parte, composta d’un solo libro (perduto), doveva trattare della Pax principum Christianorum, auspicando anzitutto – ci informa l’autore – quella tra Francia e Spagna, con l’adesione non solo di tutti i sovrani d’Italia e d’Europa, ma del mondo intero, terminando infine con un compendio delle loro sette, credenze e contese, con ammonimenti politici degni di nota riguardanti in particolare la potestà suprema e la funzione arbitrale del papa. (Firpo)>>

Forse il più grande in assoluto, certamente Giulio Antonio Brancalasso è stato il massimo esperto delle dottrine politiche della gloriosa storia di Tursi.

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Riferimenti ad ANTON GIULIO BRANCALASSO © (a cura di Ambra Piccirillo Brancalasso)

TOPPI Nicola (patrizio di Chieti), “Apparato agli huomini illustri i lettere di Napoli e del Regno”, 2 Voll., pag. 168, 1678.

SANCHEZ Garcia Encarnacion (docente  Istituto orientale di Napoli),  Campanella y el circulo hispano de Napoles. Da Brancalasso a Quevedo, relazione al convegnodell’AIH Associacion Internacional de Hispanistas, nel 2001.

Dizionario Biografico Universale, Voce, volume 1, pag. 609, Firenze, Ed. Passigli D. 1840.

Consejeria de Education e Cultura de la Comunidad de Madrid, Progetto di Ricerca, 2000.

SIEBER Harry, The Magnificent Fountain: Literary Patronage in the court of Philiph III.

DE MATTEI Rodolfo, Il problema della ragio di stato nella Controriforma, cap. XIV, pag. 278 e seg., Napoli R. Ricciardi, 1979.

DE MATTEI Rodolfo, Materiali campanelliani nella Philosophia Regia di Anton Giulio Brancalasso, Giornale critico della filosofia Italiana, fasc. III e IV, Firenze, 1947.

DE MATTEI Rodolfo, Manipolazioni e Appropriazioni nel Seicento, III in Giornale Critico della filosofia italiana, XXVI, pp.373-391, 1947.

FERRARI G., Corso sugli scrittori politici italiani, pp. 395, 803, 849, Milano, 1862.

CAVALLI F., La scienza politica in Italia, II, pp 263-265, Venezia, 1873.

MINIERI RICCIO C., Notizie biografiche e bibliografiche degli scrittori napoletani fioriti nel sec. XVII, II, p. 44, Napoli,1877.

BOZZA T., Scrittori politici italiani dal 1550 al1650, pp110-112, Roma, 1949.

FIRPO L., Brancalasso, Giulio Antonio, voce del Dizionario Biografico degli Italiani, Istituto della Enciclopedia Italiana, vol. 13, pp. 804-806, Roma, 1971.

Presenze della Philosophia Regia

Roma, Biblioteca Nazionale, copia proveniente dal Collegio Romano dei Gesuiti, Editori G.B. Gargani – Lucrezio Nucci, Napoli, 1609, (in deposito anche il volumetto Dialogus de passione et morte Domini nostri Iesus Christi (septimus liber).

Napoli, Biblioteca Nazionale, Biblioteca Brancaccio.

Torino, Biblioteca Luigi Firpo (due copie).

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Stemma genealogico completo della famiglia Brancalassi/o ©

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