Vescovi, lavori, chiusure e crolli nella cattedrale di Tursi, nei secoli

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Cattedrale di Maria SS. Annunziata – Testo aggiornato con la nota aggiuntiva finale***

Nel corso dei secoli, la cattedrale diocesana dell’Annunziata (XV secolo) di Tursi e l’annessa sagrestia sono stati oggetto di interventi anche considerevoli, resi necessari da varie cause naturali e da altre fatalità che hanno provocato danni sovente rilevanti, considerando pure che talvolta si è evitata di poco la tragedia. Tutto ciò ha modificato sensibilmente l’iniziale assetto strutturale, già dalla seconda meta del XVII secolo, con alcuni successivi stravolgimenti. La forma è a croce latina, nella facciata principale con tre porte d’ingresso e tre navate all’interno, con sagrestia e casa canonica Ripercorriamo storicamente questo itinerario “sfortunato”, senza occuparci di abbellimenti, arredi, ornamenti, opere d’arte e dell’archivio, rispetto ai quali la cattedrale, fu effettivamente e progressivamente interessata da una moltitudine di interventi di arricchimento funzionale, scenografico, estetico e artistico, subito dopo il trasferimento della diocesi da Anglona a Tursi. Tra questi pregi, cito ad esempio la dotazione del magnifico organo: “nel 1551 fu dotata del nuovo organo realizzato nell’anno dal mastro organista Galieno Quaglio di Napoli, che fu quietanzato dal Capitolo della cattedrale di Tursi con ‘Istrumento’ del 4 gennaio 1552 (notaio Lorenzo de Helis, Tursi)”; ricavo questa certezza da una nota contenuta nella ricerca genealogica sulla famiglia dell’artista e poeta John Giorno[1], opera della straordinaria archivista Rosanna D’Angella, e in tal modo ritengo si possa chiudere la disputa almeno sulla data dell’organo (non del 1700) che, peraltro, non esiste più.

1934

Ultimo incidente in ordine di tempo, ed è ancora vivo nella memoria collettiva, il doppio incendio ravvicinato, nelle notti dell’8 e 11/12 novembre 1988 (entrambi sviluppatisi dopo l’una circa). La furia delle fiamme distrusse praticamente l’intero luogo di culto e tutte le preziosità che erano contenute al suo interno, rimasero in piedi solo i muri perimetrali. La riapertura ai fedeli è stata progressiva: il giorno di Natale del 1999, apertura della porta centrale, per dare inizio al Giubileo del Duemila;  il 25 marzo 2000, consacrazione e apertura al culto; sostanziale completamento dei lavori anche di rifinitura  nel 2006.  In tale recente arco temporale si sono avvicendati due vescovi, mons. Rocco Talucci (25 gennaio 1988 – 5 febbraio 2000 nominato arcivescovo di Brindisi-Ostuni) e Francescantonio Nolè, O.F.M.Conv. (4 novembre 2000 – 15 maggio 2015 nominato arcivescovo di Cosenza-Bisignano). Dal 28 aprile 2016, mons. Vincenzo Carmine Orofino è il nuovo vescovo della diocesi di Tursi Lagonegro (dal 1976 con la nuova denominazione, a seguito della ristrutturazione dei confini su base regionale) .

Ritratto di papa Paolo III

L’elevazione a Cattedrale avvenne nel 1545 con la traslazione della diocesi di Anglona a Tursi, con una prima bolla di papa Paolo III (dal 1534 alla sua morte), in anagrafe Alessandro Farnese (Canino, VT, 29 febbraio 1468 – Roma, 10 novembre 1549). Il papa, che nel 1540 autorizzò la fondazione della Compagnia di Gesù su proposta di Ignazio di Loyola e che convocò il Concilio di Trento nel 1545, di fatto riconosceva la dignità di città  a Tursi, centro assai popolato e ricco anche di storia, sulla base di una prospettazione motivata del vescovo Elvino (20 dicembre 1542 – 11 luglio 1548 deceduto). Ma per sedare le contrarietà, esibite con la riottosità, tra gli abitanti dell’antico quartiere Rabatana e quelli del sottostante centro abitato, fu necessario trasferire definitivamente la cattedra vescovile dalla chiesa di san Michele a quella dell’Annunziata,  tramite una seconda bolla dello stesso papa Paolo III, che la emanò “motu proprio” il 26 marzo 1546, mentre era ancora vescovo suo nipote Berardino Elvino, di Alvito, nel frusinate. Il monsignore ebbe una brillante quanto breve carriera, troncata dalla malattia (gotta, podgara): già segretario del cardinale Guido Ascanio Sforza, che gli cedette la commenda della diocesi di Anglona, ufficialmente in possesso dal 22 dicembre 1542, fu poi tesoriere generale ed abbreviatore delle lettere apostoliche; ebbe l’incarico di surrogare il cardinale Carmine Poggio come Nunzio apostolico alla corte di Madrid; partecipò al Concilio di Trento, traslato a Bologna nel 1547. Mons. Elvino fu così consacrato vescovo (del passaggio) anche dell’unica diocesi di Anglona e Tursi, il 25 novembre 1545, ma “non risiedette mai nella diocesi, seguendo l’abitudine invalsa fra i vescovi preconciliari”[2] (Fiamma Satta, Treccani, 1993).

1901

Un infortunio rilevante colpì la chiesa nel Settecento, ma il vescovo e teologo Domenico Sabbatino (20 novembre 1702 – settembre 1721 deceduto), di Strongoli, in Calabria, fece costruire a proprie spese[3] l’alto campanile a cuspide nel 1718, restaurare ed arricchire la cattedrale e migliorare anche il seminario, ha scritto nel suo testo[4] del 1851, ancora fondamentale, il massimo storico di Tursi Antonio Nigro. Che fornisce altre notizie sulla originaria forma del campanile, prima sviluppato su quattro trombe, due quadrangolari e due ottagonali come la cuspide slanciata. In seguito, mons. Ettore Quarti (1º dicembre 1721 – 17 novembre 1734 nominato vescovo di Caserta), di Belgioioso, patrizio milanese (cit. Rocco Bruno***) e prelato degnissimo, fece edificare l’altare maggiore e ristrutturare/ricostruire/restaurare la sagrestia (l’originaria chiesa del 1300). Questo avvenne “intorno al 1726, tali lavori imposero la chiusura al culto e mons. Quarti la riconsacrò, dopo un sinodo, il 2 maggio del 1728”, scrive lo storico locale Rocco Bruno, nella monografia[5] dedicata alla Cattedrale. L’autore aggiunge che un altro restauro ci sarebbe stato nel 1901, testimoniato da “un’iscrizione su marmo nella facciata superiore principale della chiesa”, anche perché “negli atti del Sinodo del 1901 è detto: La nuova facciata della chiesa con le due statue di S. Filippo Neri e S. Andrea Avellino era ammiratissima dai forestieri’”. Allora era vescovo mons. Carmelo Puija (9 gennaio 1898 – 30 ottobre 1905 nominato arcivescovo di Santa Severina, KR), calabrese di Filadelfia (VV), che si dedicò massimamente al seminario diocesano.

Nel XX secolo, accennano a un altro incidente o restauro, senza citazione della fonte, sia Wikipedia che Rocco Bruno e Nicola Crispino, questi nel sito ufficiale del Comune, mancando però la consapevolezza delle enormi dimensioni. Probabilmente se ne sarebbe perso perfino la memoria se lo straordinario educatore e direttore didattico Vincenzo Cristiano (Tursi,  17 agosto 1865-21 maggio 1952), massimo “poeta-cronista” della vita quotidiana a cavallo dei due secoli, non ci avesse lasciato, da par suo, la traccia in forma di versi degli accadimenti. Nella raccolta di poesie Foglie secche e note gaie[6] (Tursi, 1951), nella sezione Musa Paesana, il maestro Cristiano scrive e pubblica l’ode “In Ricorrenza Della Riconsacrazione Della Cattedrale e del 25° anniversario sacerdotale di S.E. il Vescovo Don Petroni, 26 aprile 1934”, dalla quale si apprende che “la Cattedrale, per caduta della volta, era rimasta chiusa al culto dalle ore dodici e mezzo del 7 agosto 1927”, quindi il crollo si era verificato mezzora dopo la messa cantata, perciò “miracolosamente non vi fu alcuna vittima”. I danni furono ingenti e scoprirono anche le tombe sottostanti: “a veder sì mal ridotto, / tanto dentro che fuori, / il bel tempio de’ nostr’avi, / ne soffriva tanto il cuore // A veder le tombe aperte // Per codesto gran precipizio / per sti ruderi e ste rovine”. La disgrazia capitò durante l’episcopato di  mons. Ludovico Cattaneo, O.M.I. † (15 settembre 1923 – 6 luglio 1928 nominato vescovo di Ascoli Piceno), di Saronno, in provincia di Varese. “Fu Cattaneo ad informare / lui pel primo il Santo Padre”. Dunque, la cattedrale rimase chiusa al culto, nel periodo del fascismo, oltre sei anni e otto mesi, fino al 26 aprile 1934, quando fu riconsacrata.

Papa Pio XI

Con l’arrivo di mons. Domenico Petroni  (29 luglio 1930 – 1º aprile 1935 nominato vescovo di Melfi-Rapolla), nato il 5 ottobre 1881 a Cervicati, in provincia di Cosenza, la ricostruzione trovò un notevole impulso. Benché fosse “piccolo” fisicamente, il vescovo era dotato di elevata intelligenza, carattere e statura morale e spirituale, e gli storici non soltanto ecclesiastici gli hanno riconosciuto il merito di aver “restaurato ed abbellito la Cattedrale e fondato l’asilo vescovile”. Cristiano scrive dell’arrivo del vescovo come un dono della Vergine di Anglona e della riapertura come un “miracolo”, considerando i primi esiti interlocutori dei tanti viaggi romani del monsignore e poi l’improvvisa e provvidenziale decisione favorevole del papa Pio XI (dal 1922 alla morte), all’anagrafe Ambrogio Damiano Achille Ratti (Desio, 31 maggio 1857 – Città del Vaticano, 10 febbraio 1939): “Quante volte andaste a Roma? / Quante volte andaste apposta / a pregare il Santo Padre / e a cercar con faccia tosta? // Ed il Santo Padre amato, / così buono e così saggio, / non vi ha dato forse tutto: / pane, vino e companatico? // Benedetta quella mano / ch’ha elargito tanto aiuto! / Benedetto il Santo padre / che baciamo col pensiero!”.  Adesso si comprende meglio il riferimento al restauro, necessitato, e l’indubitabile valore dell’azione di mons. Petroni, “sopportando anche lui / tante brighe e stante spese”.

Lapide collocata dentro la Cattedrale

(aggiornamento dell’11 febbraio, ore 22) Sulle cause del crollo nessuna precisa indicazione, non certo il grave terremoto che si verificò nel 1929 (dopo tre anni), si dice terribile. Tuttavia, sembra fare luce una lapide collocata all’interno, voluta proprio da mons. Petroni nella circostanza della riconsacrazione (26 aprile dell’anno del Giubileo 1934) di “questo antico tempio, cattedrale della diocesi di Anglona Tursi”, poiché il vescovo fa riferimento al danneggiamento nel tempo causato da alluvioni e terremoti.

Salvatore Verde  © 


[1] D’Angella R., Ricerca genealogica della famiglia Panevino per John Giorno, 1550-1936,  documentazione inedita.

[2] Satta F., Dizionario Biografico degli Italiani Treccani, Volume 42, 1993.

[3] Una lapide, posizionata dentro la chiesa per volere del Vescovo, lo conferma: D.O.M. / Turrim hanc sacram diu dirutam / Praesul / Dominicus Sabbatinus Strongytem / Propriis sumptibus / construere et aedificare fecit / Anno Domini 1718.

[4] Nigro A., Memoria topografica istorica sulla Città di Tursi e sull’antica Pandosia di Eraclea oggi Anglona, Tipografia di Raffaele Miranda, Napoli, 1851; ArchiviA, Rotondella, MT, 2009.

[5] Bruno R., La Cattedrale della SS. Annunziata Note storiche ed artistiche, Grafidea Policoro, MT, 2000.

[6] Cristiano V., Foglie secche e note gaie, Tipografia degli Orfanelli, S. Rocco di Tursi, 1951; ArchiviA, Rotondella (MT), 2006.

***Aggiornamento del 5 agosto 2025: Stanislao Scognamiglio, discendente e studioso della famiglia Quarto/Quarti, ha inviato tramite tre e mail le seguenti informazioni che riporto integralmente. <<Una precisazione in merito alle origini di Ettore Quarti vescovo di Tursi. Discendo dalla famiglia Quarto o Quarti dei Duchi di Belgioioso. Ed è proprio sul predicato Belgioioso che avrei da correggere le notizie sul mio antenato. La famiglia Quarti era originaria di Andria, e proveniva dal Piemonte, e il predicato di Belgioioso fu assunto dalla famiglia per una parentela con i Belgioioso lombardi ma Ettore Quarti non fu patrizio milanese ma come suo padre Francesco Quarto o Quarti II duca di Belgioioso patrizio di Bitonto . O di Salerno dove era ascritta la famiglia nell seggio di Portaretese. Belgioioso a cui si fa riferimento nel predicato è Laurenzana di cui i Quarto furono signori e poi con decreto di Carlo II cambiò il nome in Belgioioso. Quindi Belgioioso è sinonimo di Laurenzana e non c’entra se non come lontana origine con la Lombardia. Mi scuso ancora ma credo che sia interessante sapere che il presule fosse appunto meridionale e vostro conterraneo vista la signoria di Laurenzana già dalla fine del 1500. Io non mi chiamo Ettore Quarti o Quarto. Purtroppo la famiglia del ramo del mio antenato è estinta per mancanza di maschi primogeniti. La prima prova di ciò che asserisco la ha a portata di mano, un altare della Cattedrale di Maria Assunta fu fatto erigere dal vescovo Quarti/Quarto e potrà osservare lo stemma consistente in un falco su sfera che in realtà araldicamente si chiama bisante. Quello è lo stemma dei Quarto che può confrontare semplicemente cercando la famiglia Quarto nel sito “famiglie nobili napoletane ‘ alla lettera Q. Come bibliografia basta citare la tavola 1350 della Genealogia dei Quarto redatta dalla consulta Araldica italiana nella persona di Livio Serra di Gerace. Inoltre i testi del Candida Gonzaga “Memorie delle famiglie nobili delle province meridionali d’Italia. Spreti “Enciclopedia storico nobiliare”. E poi il testo “Montegrosso storia di un feudo dimenticato”. Cita Ettore Quarti come figlio di Francesco Quarti di Belgioioso inteso sempre come Laurenzana  che con cedola reale 17 settembre 1682 trasforma il nome di Laurenzana in Belgioioso. Probabilmente il nome di Belgioioso, che è una città lombarda in effetti può dar adito a confusioni. Infatti i Barbiano furono principi di Belgioioso in Lombardia e discendono dallo stesso ceppo antico dei Quarto. Solo che loro inizialmente si chiamarono Quartero. La storia dei Quarto (cfr con Crollanza, Gonzaga e Spreti) inizia in Val d’Aosta. Un ramo dei signori di Quart discende da Giovanni de Quart milite di Federico II che lo seguì fino ad Andria. E l’imperatore gli concesse il feudo della foresta di Montegrosso. Poi i Quarto acquisirono nobiltà appunto ad Andria, Barletta, Bitonto e poi divennero prima signori e poi Duchi di Laurenzana. Ma avendolo ceduto ai Gaetani quando divennero Duchi ottennero il titolo di Duchi di Belgioioso (Laurenzana) predicato che usarono quando si spostarono a Napoli dove nel 1800 acquistarono palazzo Belgioioso a Riviera di Chiaia. A Laurenzana nacquero almeno tre Duchi di “Belgioioso” ed Ettore fu figlio del primo, Francesco Quarto, fu cognato di Francesco Vargas de Machuca presidente della Corte Sommaria di Napoli. La famiglia è tra le più antiche del Regno e povera un Cavaliere templare, due Beati, un teologo, Paolo, e Oddone comandante di una nave nella battaglia di Lepanto. È imparentata con i Castriota Scandeberg, i Carafa della Stadera, I Gaetani, e tante altre famiglie della nobiltà meridionale Ovviamente anche per queste notizie i riferimenti bibliografici oltre al sito 

nobili-napoletani.it/Quarto.htm li trova nei testi indicati sopra. Ecco il link della famiglia Quarto (le variabili sono Quarti, de Quarto, del Quarto) https://www.nobili-napoletani.it/Quarto.htm in questa pagina è riprodotto solo uno degli stemmi della famiglia quello del Duca Francesco Maria Quarto, uno stemma bipartito con il falco dei Quarto a destra e lo scudo argentato a bande rosse di Marianna Carafa della Stadera dei duchi di Noia, ma come le dicevo lo stemma della famiglia, il blasone “nudo” senza la corona è quello che vede nella cattedrale di Tursi che allego.>>

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