L’omicidio Brancalasso-Picolla a Tursi, nel documento di Acerenza del 1616 (2)

Storia di Tursi

Un giallo storico in piena regola. Ho concluso così il precedente articolo on line del 4 marzo 2020, su Tursitani.it, nel rendere conto della notizia dell’omicidio di Baldassarre Picolla per mano di Don Giovanni Francesco Brancalasso, avvenuto ai primi L’omicidio Brancalasso-Picolla a Tursi, nel documento di Acerenza del 1616 (2)del XVII sec. Ne esistono, infatti, perlomeno due versioni importanti e contrastanti, anzi opposte, fermo restando il coinvolgimento delle due famiglie e i protagonisti dell’uccisione. Il secondo racconto in ordine cronologico è nel manoscritto originale di 170 pagine dal titolo Fedel memoria degli Uomini Illustri, Parenti, Stabili, Urbani e Rurali, Jus, Doti, Ragioni, Servitù, Prelazioni, Cappellanie, Benefici e sue Rendite, Notizie antiche appartenenti alla gentilizia famiglia BRANCALASSO, che ora si rappresenta dalli fratelli, Dottor Don Tommaso, Dottori Canonici della Cattedrale: Don Filippo, Abate Don Carlo e Don Nicolò Brancalasso, registrata nel 1744. Si intuisce con immediatezza che si tratta di uno scritto  di parte dichiarata, proveniente dall’interno della discendenza genealogica diretta. Lo stesso documento appartiene ai discendenti della grande famiglia Brancalasso, i coniugi anconetani Ciriaco Sciarrillo Branclassi e Ambra Piccirillo, la quale ha trascritto mirabilmente il testo, dopo anni di assiduo lavoro. Altri discendenti dei Brancalasso si trovano a Tursi.

Come avevamo accennato già nel precedente intervento, l’altra versione che proponiamo adesso sarebbe la prima rispettando le date, ed è quella che si impone nel saggio Tursi. Alle radici del toponimo Rabatana, del noto medievista Nicola Montesano, inserito nel voluminoso Tursi La Rabatana (Ministero per i Beni e le Attività culturali – Fondazione Sassi di Matera; Cooperativa Grafica Italiana- Bari, per Altrimedia Edizioni, Matera,  2004), curato dall’accademico dei Lincei Cosimo Damiano Fonseca, con il coordinamento della ricerca e la cura redazionale di Rosalba Demetrio. Tralasciando altre questioni contenute nell’importante libro collettivo, di 382 pagine, sono di indubbia rilevanza tutti i contributi di Carmela Biscaglia, Gemma Colesanti, Maurizio Delli Santi, Luida Derosa, Maria Lucia Gaudiano, Edoardo Geraldi, Fabrizio Terenzio Gizzi, Maurizio Lazzari, Bruna Lionetti, Cosimo Lionetti, Nicola Masini, Maria Bruna Palomba, Antonella Pellettieri, Sabina Piscopo, Maria Rosaria Potenza, Pina Radicchi, Vincenzo Sgura e, per quanto ci riguarda in particolare, lo studio di Montesano, che accenna alla vicenda omicidiaria.

Non ci è stato possibile verificare direttamente il documento originale che l’autore cita e, pertanto, ragioniamo  interpretando sia la trascrizione che l’autorevole studioso ha pubblicato (e che riportiamo integralmente in allegato) sia il corsivo da lui utilizzato nel libro. Dunque, Montesano scrive: <<Nell’Archivio diocesano di Acerenza, il cui vescovo avendo il titolo di metropolita poteva essere interpellato anche per cause civili, è conservata una serie di faldoni contenente gli Appelli della diocesi di Tursi e Anglona. In un documento del 4 gennaio 1616 il canonico D. Leonardo Pontino, delegato diocesano per far luce sull’uccisione di Baldassarre Piccola, avvenuto a Tursi il 21 dicembre dell’anno  precedente, raccoglie la deposizione di una certa Jiulia de Joanne de Carbono, che: “… essendo andata… nella rabatana in casa della signora Dionora Notabile per certo suo negotio, alla retornata et fece a’ banco alli massitani… il medesimo giorno ad hora di vespera D. Gioseppe Valerio Aulid.o presso nello pizzo di Ciccarello alla rabatana et il detto Aulid.o D. Gioseppe hera quasi mutato di colore in faccia et camminava di buonpasso et essa Julia chi fu’ alla Chiesa di santo Michele (ploamore) et havea inteso si firmò da dove vidde quando Gianfrancesco Brancalasso Gioseppe Brancalasso, et Fanno di Gravina, et si diceva  havennero commisso l’omicidio in persona del quondam Baldassarro Picolla nella piazza pubblica di detta Città se né fugiano et andremo a’ santo Francesco et questo intesi…

Dalla stessa testimonianza apprendiamo che la ragione del contendere, che portò all’uccisione del Piccola, era da riferirsi alla volontà del Giovan Francesco Brancalasso, autore materiale dell’omicidio, di favorire il fratello Giuseppe all’elezione di Camerlengo della Rabatana, a discapito proprio della vittima. Dalla lettura di questa testimonianza ricaviamo due diverse informazioni: la prima di carattere strettamente toponomastica; la seconda di natura istituzionale. L’esistenza di una carica pubblica dell’Universitas civium di Tursi preposta alla sorveglianza e alla custodia della Rabatana, conferma le affermazioni del Nigro sulla netta separazione del borgo dal resto del paese, che in questo caso è anche politico-istituzionale, oltre che fisica. Il Camerlengo della Rabatana aveva il compito di vigilare sulla quiete notturna di questa parte di paese, e di sorvegliare l’accesso che poteva avvenire solo attraverso il Ponte della Rabatana e della torre del castello, che fungeva da ingresso alla Rabatana e che sicuramente veniva chiuso nelle ore notturne>>. Fin qui il Montesano direttamente.

Poi, nella nota 12 di riferimento, a pag 40, troviamo la lunga trascrizione del fatto incriminato e oggetto di indagine. In buona sostanza, il 4 gennaio 1616, la trentenne Julia Joanne de Carbono sotto giuramento è esaminata e interrogata dal reverendo Leonardo Pontino, canonico  della Cattedrale, vicario della diocesi di Anglona Tursi e delegato diocesano alle  indagini. Interrogata si essa detta sa’ si alcuna persona fosse stata causa di fare ammazzare il predictum Baldassarro Piccola, da chi dove quando, et in che tempo, et per qual causa. Julia disse si, ricordando che il 21 di dicembre era andata in Rabatana, per suoi motivi, a fare un servizio in casa della signora Dionora Notabile; al ritorno si fermò nel rione San Michele per delle compere, dopo che, all’ora del tramonto dello stesso giorno, nel Pizzo di Ciccarello (l’attuale Piccicarello) della Rabatana, aveva visto D. Gioseppe Valerio Aulid.o stravolto (quasi di mutato colore in faccia e camminava di buonpasso). Arrivata alla chiesa di San Michele Julia, si fermò e vide Gianfrancesco Brancalasso, Gioseppe Brancalasso e Fanno di Gravina; su di loro aveva sentito che avevano commesso l’omicidio di Baldassarre Picolla nella piazza pubblica (oggi Piazza Plebiscito) della Città di Tursi e aveva capito che stavano fuggendo e capì anche che ‘andremo al convento di san Francesco’. Gianfrancesco venne in casa di Giuseppe Brancalasso, dove poco dopo arrivò anche D. Gioseppe Valerio, che stette un po’, il tempo di far montare una sella sul cavallo, intuì Julia, e se ne ritornò a San Francesco dove fece portare subito anche il cavallo sellato e montato dal figlio d’Amelio. Julia comprese, inoltre, che Don Gioseppe Valerio ordinò al proprio figlio d’Amelio di prestare il cavallo a Gioseppe Brancalasso al convento, come in effetti avvenne, e questo lo conferma Julia, tornata a casa sua la sera, poiché abita nel vicinato di Don Gioseppe Aulid.o.

Quindi fu chiesto a Julia se, quello stesso giorno, avesse visto l’Aulid.o andare in piazza in compagnia dei due Brancalasso, Giovan Francesco e Gioseppe, lei rispose che era risaputo da tutti. La moglie di Giovanni Francesco e Gioseppe si erano lamentati  e si lamentano molto di D. Gioseppe Valerio, dicendo che Giovan Francesco aveva l’abitudine di stare un paio di ore in casa dopo aver mangiato e poi era solito uscire, cose che fece anche quel 21 dicembre, quando venne a trovarlo Don Gioseppe e insieme andarono poi a casa di Gioseppe Brancalasso, dalla quale abitazione uscirono tutti e tre nella vicina strada della casa di monica Ottavia Caputa, dove Don Gioseppe si fermò, mentre Giovanni Francesco e Gioseppe Brancalasso andarono in piazza. Poco dopo si sentì il rumore della piazza, i due Brancalasso avevano ucciso il Baldassarre Picolla; la madre del Picolla, udito il rumore e avendo ricevuto il mantello del figlio, chiese cosa fosse successo. Le fu risposto, racconta sempre la Julia, che suo figlio Baldassarre aveva avuto la stoccata e lei subito uscì di casa per andare in piazza dove vide il figlio ferito. Con la signora Picolla c’era Don Gioseppe Valerio che si mise davanti e le disse che non era nulla di grave e così Grazia Picolla, madre di Baldassarre, se ne ritornò a casa. E questo è stato riferito a Julia da molti presenti che diffusero la voce che Baldassarre era stato ammazzato da Gioseppe e Giovan Francesco Brancalasso. Motivo: fare un favore a D. Gioseppe Aulid.o che voleva a ogni costo Gioseppe Brancalasso come Camerlengo della Rabatana, poiché lo stesso Baldassarre Picolla più volte si era lamentato con D. Gioseppe Aulid.o, accusandolo di prendere le parti di Gioseppe Brancalasso e di volerlo favorire per fargli ottenere il grado di Camerlengo, al quale incarico aspirava anche il Baldassarre (così interpreta il Montesano).

A questo punto il documento appare oscuro, contorto, incomprensibile e non è assolutamente chiaro chi dica cosa a chi: “Picolla lamentandosi che lo Aulid.o  pigliava le partite di detto Gioseppe per farle havere detto Camberlingato stesso Brancalasso controdiceva et uccidendo a detto Aulid.o pigliava le parti di detto Gioseppe, et se andava così fannitile li detto quondam Baldassarre diceva che per essi non mancava à farcilo arrivare al detto Camberlingato et queste differenze sono passate, et essa Julia have inteso per bocca del detto Baldassarro, et questi sopra”. E tutto questo Julia lo aveva appreso direttamente dalla bocca di Baldassarre. Infine, quando fu chiesto a Julia se nell’andare e ritornare dalla Rabatana qualcun altro avesse visto (e sentito) le stesse cose, lei rispose che era in compagnia soltanto di suo figlio, il minore Marc’Antonio Carbone, che vide e seppe le stesse cose. Firmato da Julia con segno di croce di mano.

Dal confronto tra i due diversi documenti, anche se scritti con finalità diverse, faremo presto delle congetture, ritengo comunque interessanti, per meglio capire o addirittura risolvere il “giallo Picolla-Brancalasso”.

Salvatore Verde

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