PRIMA VOLTA DI TURSI NELLA CRONACA NAZIONALE, SULLA RIVISTA “IL CARABINIERE” DEL 1984, MA L’ARTICOLO È DEL 1884, RITROVATO DA CICCIO D’ERRICO, 94 ANNI, MARESCIALLO IN PENSIONE. 

Storia di Tursi
Pag. 4 del numero di Maggio 1984, con la rubrica “Almanacco di un Secolo fa”

Quando la stampa nazionale si è interessata per la prima volta di Tursi, relativamente a un qualsiasi fatto di cronaca? Manca ancora l’assoluta certezza, ma sembra che a tale domanda abbia dato una probabile risposta la passione per la ricerca dell’attivissimo Francesco D’Errico, 94 anni, maresciallo dei Carabinieri in pensione, autore di diversi libri di memorie e di storia locale, oltre che di versi popolari e autentici. Nativo di Tursi, dove ancora risiedono i tanti parenti, ma da una vita residente con la famiglia ad Altavilla Silentina, nei pressi di Battipaglia, in provincia di Salerno, Ciccio, così da sempre per tutti i compaesani, proprio in questi giorni si è imbattuto in un arretrato della rivista istituzionale il Carabiniere, Mensile di cultura e di informazione professionale. Il costante abbonamento e la conservazione delle annate, l’inesauribile curiosità e l’amore per la lettura, o semplicemente il caso, gli hanno fatto notare il numero di maggio del 1984 (Anno XXXVII, Direttore Gen. B. Giuseppe Richero e Redattore Capo Ten. Col. Romano Colusso). Mentre sfogliava il giornale, a pag. 4, un titolo ha richiamato la sua attenzione: “Giù nel burrone a rischio della vita”, evocativo di qualcosa che inconsciamente lo riportava, con suggestioni di memoria, ai precipizi del paese natale. Grande, crescente e cristallizzata la sorpresa della breve lettura dell’articolo, che ripropongo qui nella forma integrale ritrovata (incluso il corsivo):

<<Il fabbro ferraio Vincenzo D’Ursio era ubriaco, ma ubriaco a tal punto da non reggersi in piedi “gli occhi vitrei, le guance fiammeggianti”. Oggetto di scherno per tutti i ragazzi e gli sfaccendati di Tursi, s’era andato a cercare un angolo tranquillo del paese, nella strada Monachelle, un viottolo tagliato a picco su un burrone profondo circa sessanta metri: “il precipizio orribile dà il capogiro anche ai santi”. Figurarsi a quell’uomo in quelle condizioni. Ed ecco che il prevedibile accade: “i monelli che avevan seguito a qualche distanza quel disgraziato ad un tratto cacciano un urlo; l’ubriaco, appena mossosi per il viottolo, era scomparso e quel corpo rotolando e balzando giù per il burrone, si arresta in un incavo del medesimo a sei metri circa prima di arrivare nel piano. Tutti pensando come egli si fosse sfracellato, ridotto in brandelli, corrono spaventati a recare l’annunzio alla vicina stazione dei carabinieri”. Entrano in azione Pio Vivi e Vittorio Boselli, carabinieri, i quali a prezzo di grandi difficoltà e con grave rischio di precipitare essi stessi nel burrone, riescono a raggiungere il D’Ursio. Si accertano che è non solo vivo, ma neanche troppo malconcio; “lo sollevano, se lo caricano sulle braccia ed incominciano la salita del precipizio”. Il ritorno, con quel carico umano, è più difficile e rischioso della discesa; ma alla fine ce la fanno.>>    

Il testo, appare di tutta evidenza, è una sintesi dell’articolo originario, la cui data è collocabile nel 1884, confermata dalla impaginazione quasi in apertura, dalla rubrica “Il Carabiniere Almanacco di un secolo fa” riferita chiaramente al passato e dal sommario programmatico e senza equivoci: <<Cento anni fa “il Carabiniere” era un “giornale settimanale illustrato”. Sfogliamo insieme queste pagine ingiallite dal tempo per vedere quanto è rimasto nel nostro costume attraverso le gesta grandi e piccole dell’Arma, e quanto è cambiato. In questo viaggio a ritroso abbiamo cercato di rispettare, finché possibile, il linguaggio e le cadenze per lasciare intatto il colore e l’incanto di quell’epoca>>. Non in ultimo, al centro della pagina, integrava il testo dell’avvenuto salvataggio un grande disegno dei due militi con il poveretto trasportato a braccia, all’ombra di un vecchio caseggiato.

Dal testo pubblicato, ne ricaviamo alcune indicazioni, per contestualizzare la vicenda a lieto fine. Intanto, pur trovandosi nel paese, forse da poco tempo l’uno e certamente per servizio la coppia di carabinieri, i protagonisti non erano di Tursi, come confermano i loro cognomi, di cui non si trova traccia stabile nell’anagrafe locale. Il luogo è sicuramente poco distante da Piazza del Plebiscito, così denominata dopo l’unità d’Italia del 1861, proprio nel limitare del Pizzo delle Monachelle, caratterizzato (anche oggi) da una ripida scarpata, allora del tutto priva di muri di sostegno e di sicurezza, dunque nella zona sottostante il municipio, ovvero l’ex Oratorio di san Filippo Neri[1]. Chiuso definitivamente nel 1867, quando i padri Lazzaristi chiamati da Mons. Acciardi lasciarono Tursi, da quell’anno in poi il convento ha avuto un utilizzo polifunzionale, diventando sede di attività diverse: Pretura (al 1896/98); scuole Elementari (al 1962), con alcune classi ospitate fino al termine degli anni Novanta; ma ospitò anche la biblioteca, la scuola Materna e altri uffici; soprattutto fu sede Municipale (dagli anni Cinquanta al 1976, quando è stata collocata nell’attuale sede di piazza Maria SS. Di Anglona); mentre i terreni dei padri furono venduti all’asta e la chiesa di S. Filippo Neri, unitamente ad alcuni vani attigui, venne ceduta dal Comune nel 1914 e riacquistata dal vescovo Giovanni Pulvirenti, divenendo in seguito parrocchia.

La toponomastica aggiunge un ulteriore elemento di precisazione. Il Pizzo delle Monachelle (nominazione popolare sopravvissuta fino ai nostri giorni) e il Pizzo delle Monache, sono in realtà coincidenti, quest’ultima affermatasi già dal XVIII secolo e acclarata anche in un atto di morte del 1° aprile 1823. In pratica, si è a ridosso dell’ex municipio, nella parte terminale di via San Domenico, dove era ubicato il convento delle monache, nei documenti ufficiali sorto nel 1666 e appellato Conservatorio delle Nobili/Nubili donzelle, dapprima di clausura, poi parzialmente crollato e soppresso nel XIX secolo (Tursitani.it, 8 marzo 20121)

Proprio in quegli anni post-unitari l’edificio ospitò, fino al 1951/61, anche la caserma dei Carabinieri con il carcere. Dunque, è ragionevole pensare che la breve distanza della caserma dai fatti raccontati, veramente pochissime decine di metri, possa far sgombrare il campo da malevoli intenzioni da parte dei giovani “monelli” nei confronti di Vincenzo D’Ursio, facendo pensare che si sia trattato di un gioco o scherzo, non finito in dramma grazie all’intervento dei carabinieri Pio Vivi e Vittorio Boselli, così come effettivamente descritto nell’articolo.

Salvatore Verde ©

 IL CARABINIERE. La prima serie di pubblicazioni de “il Carabiniere”, sottotitolo di allora “Giornale Militare”, nacque nel dicembre 1872 e durò fino al Natale del 1894 (tornò poi nel 1948), svolgendo una meritoria opera di divulgazione culturale, oltre che di stimoli alla lettura, anche con le notizie di cronache e i racconti di operazioni di servizio compiute dai Carabinieri; inoltre, come tutti i giornali dell’epoca, ospitò racconti e romanzi a puntate, talvolta con un successo clamoroso; spazio adeguato trovarono  gli atti ufficiali relativi all’Arma, le notizie storiche, le relazioni dell’attività di polizia giudiziaria e di assistenza svolte dai Carabinieri, le risposte a quesiti degli abbonati, un breve notiziario dall’interno e dall’estero, la rubrica della piccola posta. Stampato (nel formato cm 36×26) a Roma, nella tipografia Benciana, il periodico bisettimanale usciva il mercoledì e il sabato, per i soli abbonati (costo annuo 8 lire, in quattro rate trimestrali anticipate). Al suo decimo anno di vita, nel 1882, divenne settimanale illustrato, con la riproduzione della figura di un carabiniere nella testata, passando da quattro a otto pagine, di formato appena più ridotto. Direzione e amministrazione erano al n. 30 di via Giubbonari, nella vecchia Roma. Primo “gerente responsabile” fu Carlo Marchisio e, dal 1874, Antonio Leofrigio. Nello stesso anno il giornale passò di proprietà a Carlo Voghera che lo stampò nella sua tipografia, in piazza del Gesù n. 47. Alla fine del 1875, il direttore – come diffuso fra tutti i comandi in un “programma d’associazione” – introdusse importanti miglioramenti nella redazione del giornale, affinché “possa riuscire più ancora che nel passato utile, istruttivo, dilettevole e di decoro dell’Arma, cui è consacrato. In effetto di che le materie, che saranno alternativamente trattate, verranno ad essere divise in tre grandi parti, cioè: parte tecnica, parte informativa, parte dilettevole“. (s.v.)


[1]   Per approfondire la vicenda della costruzione e della soppressione, delle diverse destinazioni d’uso e dei vari utilizzi: Salvatore Verde, La Congregazione dell’Oratorio di San Filippo Neri (XVII-XIX secolo) di Tursi, Graficom Edizioni, Matera, per Tursitani.it, 2022, pp.243. 

La copertina del numero di Maggio 1984

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